Verso il benessere psicologico in espatrio scientifico. Un progetto pilota di Transiti Psicologia d’Espatrio e Oceanitalians che indaga e raccoglie difficoltà, desideri e risorse psicologiche di professioniste e professionisti in una carriera di ricerca scientifica in mobilità: il ricercatore all’estero. Attraverso l’ascolto e la condivisione di esperienze è possibile non solo indagare fenomeni ma anche favorire la consapevolezza e stimolare azioni che possano portare a cambiamenti concreti.
Nell’espatrio legato alle carriere nel mondo accademico c’è un’intrinseca e doppia sfida che si aggiunge alle difficoltà specifiche dell’attività di ricerca: quella dell’adattamento culturale, dell’avere a che fare con un contesto nuovo e inatteso, e quella della scoperta di una versione di sé fino a poco prima sconosciuta, che mette in luce alcune questioni alle quali non si era mai prestato attenzione prima. Tutto questo in un percorso che spesso è motivato dal desiderio e dalla passione per un progetto, per una materia, per un argomento e in cui potrebbe sembrare che il luogo, la distanza, o le differenze culturali siano poco più che elementi accessori o di importanza secondaria. Il progetto pilota Verso il benessere in espatrio scientifico non è che una prima affermazione, un passo che si muove nella direzione della diffusione di una cultura psicologica legata agli spostamenti all’estero, ai rientri dall’estero, alle migrazioni.
Inès Borrione, oceanografa, educatrice che sviluppa e conduce attività didattiche sulle scienze del mare, ideatrice e coordinatrice di Oceanitalians – il network di professionisti italiani che si occupano di mare – ci parla della sua esperienza e delle riflessioni che l’hanno spinta a promuovere il progetto e a farne parte in prima persona.
Questione di barriere: l’espatrio nel mondo della ricerca
Uno dei presupposti principali della ricerca, indipendentemente dalla disciplina, è lo scambio di informazioni ed il confronto costruttivo con “l’altro”.
Lo scambio ed il confronto possono – e devono – superare alcune barriere. Se il confronto avviene con chi si occupa di un ambito diverso, si può parlare di barriere disciplinari; se il confronto avviene con colleghi provenienti da culture molto diverse, le barriere sono di natura culturale. Quando invece il confronto avviene al di fuori della propria casa, intesa come domicilio o come luogo di lavoro, le barriere sono geografiche. Quanto più grande sarà lo sforzo compiuto per superare la barriera, tanto maggiore sarà il guadagno in termini di apprendimento.
Un dottorato in Germania, oltre il confine rassicurante della comfort zone
La mia decisione di avviare la mia carriera di ricercatore all’estero (nel mio caso in Germania, per il dottorato di ricerca), nasceva dalla volontà di vivere un’esperienza arricchente a 360 gradi. Tale esperienza avrebbe significato affrontare tutte le barriere menzionate poco prima: occuparmi di un ambito lavorativo a me completamente nuovo, entrare in contatto con la cultura tedesca e vivere in un contesto geografico molto diverso e fisicamente lontano dal mio, in cui clima, lingua ed usanze mi avrebbero sicuramente messo alla prova. Mi sono imbarcata in un dottorato che avrebbe stravolto quasi interamente le mie comfort zones, anche quelle linguistiche. La distanza, in particolare, mi avrebbe messo alla prova, limitando i rientri a casa e i ricongiungimenti familiari. 1000 km sono moltissimi anche per una relazione sentimentale solida.
Nel mio caso ho scelto l’esperienza, e non il luogo in cui l’avrei vissuta. Posso dire che la Germania “è capitata”, perché lì ho trovato il progetto di dottorato che mi è piaciuto di più. Della lingua e della cultura non sapevo proprio nulla.
Non so bene perché non abbia voluto cercare un dottorato più vicino in termini geografici, culturali e linguistici. Credo che alla base di questa scelta ci fosse la volontà di affrontare una sfida difficile, di mettersi alla prova e capire fino a che punto avrei saputo spingere le mie barriere, la mia capacità di adattamento.
Tra criticità e aspetti positivi per il benessere psicologico
Partire come ricercatrice all’estero coincide solo parzialmente con il generale “partire per l’estero”, perché mette in gioco aspetti emotivi nuovi, poco prevedibili e strettamente legati al percorso di dottorato. Fra questi, l’ansia e la preoccupazione per l’inesperienza e la (giustamente) ridotta supervisione, la corsa e l’affanno per l’ottenimento di risultati nonostante gli esiti incerti di un progetto originale e, infine, la volontà e necessità di rispettare le scadenze contrattuali e quanto programmato alla partenza, come per esempio la data del rientro a casa.
A distanza di anni e con più esperienza, sono sicura che una maggiore consapevolezza e preparazione avrebbero sicuramente smussato molte di queste criticità, perché si parte pensando che le difficoltà saranno legate prevalentemente alla lingua del paese ospitante e alla lontananza dalla famiglia, non pensando come a queste se ne possano aggiungere altre, andando a logorare il benessere psicologico in un periodo così lungo e lavorativamente intenso. Il dialogo aperto con chi aveva già vissuto una tale esperienza avrebbe potuto, da solo, offrire un valido strumento di aiuto e orientamento. Alla partenza i risvolti positivi sono invece più prevedibili, e includono la crescita personale e professionale, le nuove amicizie e i contatti. Il coinvolgimento della famiglia e degli affetti con il racconto e l’esplorazione dei nuovi luoghi hanno maggiormente arricchito la permanenza di esperienze e ricordi positivi.
L’importanza di (pre)occuparsi del benessere psicologico di chi fa un’esperienza da ricercatore all’estero
Potessi incontrare l’Inès che si preparava a vivere un’esperienza di dottorato all’estero, l’avrei sicuramente incoraggiata a prendere contatti con dei dottorandi che stavano vivendo quell’esperienza, o che da poco l’avevano terminata. L’avrei incoraggiata a prepararsi maggiormente dal punto di vista psicologico, perché nel lungo termine (e un dottorato con i suoi “almeno tre anni” di durata rappresenta certamente un’esperienza di lungo periodo) molte piccole questioni possono diventare di difficile gestione ed emotivamente pesanti, instaurando un loop che definirei scoraggiante, specialmente se i rientri sono pochi.
Nel mio caso, e probabilmente anche nel caso di molti altri, la forte determinazione e motivazione a concludere un percorso avviato nonostante ostacoli e difficoltà ha dato la spinta per raggiungere i traguardi prefissati, ma non è stato facile: ha portato, talvolta, ad un carico emotivo o di ansia eccessivo, che sarebbe stato evitabile con un supporto adeguato.
Verso il benessere psicologico in espatrio scientifico: il progetto
Rivivendo e ripensando a molti dei momenti passati a parlare del mio dottorato con altri dottorandi o con chi ha vissuto un periodo prolungato all’estero, ho sentito la necessità di fare qualche cosa di concreto per supportare quella Inès in partenza, e le persone che avrebbero potuto rivivere le stesse esperienze.
Confrontarsi con il team di Transiti, specializzato in percorsi di espatrio, mi ha aiutato a definire più nettamente, e spesso a riconoscere, le difficoltà che ho incontrato e vissuto. Estendere il dialogo a un numero maggiore di ricercatrici o ricercatori all’estero come me mi ha permesso di ampliare la voce di quei ricordi difficili, e quindi anche di rassicurare la giovane Inès, facendole sapere che in quei momenti faticosi e faticosissimi, non era sola.
Infatti, il confronto con Transiti mi ha permesso di capire che erano molti (gli italiani, le italiane, e non solo) a vivere le stesse esperienze e a provare le stesse difficoltà. Da queste riflessioni condivise e dalla volontà di collaborare, nasce il progetto pilota Verso il benessere psicologico in espatrio scientifico, dedicato a riconoscere ed indagare sensazioni ed emozioni legate al processo di espatrio.
Il prossimo passo sarà quello di integrare e organizzare le conoscenze o “consapevolezze” raccolte durante quest’ultimo anno di collaborazione con Transiti, realizzando un percorso preparatorio all’espatrio scientifico. In poche parole, mettere in luce e condividere ciò che potrebbe aiutare chi decide di uscire dalla propria comfort zone per affrontare un periodo all’estero finalizzato a migliorare la propria posizione o carriera scientifica.
Mentre scrivo, un’immagine appare nella mia mente: un espatrio scientifico può essere visto come una rampa di lancio priva di ringhiere da afferrare in caso di difficoltà, e con poche reti che possano intercettare chi cade. Mi piacerebbe molto approfondire, in collaborazione con Transiti, i temi dell’espatrio scientifico, per costruire quelle ringhiere e per infittire ed irrobustire quelle reti.
Sono sicura che un’esperienza all’estero vissuta con maggiore consapevolezza psicologica e strumenti utili ad affrontare le difficoltà, la renderebbe per tutti molto più nutriente. Perché una parte dell’energia utilizzata per risollevarsi ad ogni caduta potrebbe essere utilizzata per risolvere le criticità incontrate e consolidare gli aspetti positivi di quella che, nel ricordo, dovrebbe restare un’esperienza straordinaria per conoscenze, vissuti, amicizie e competenze acquisite.