Cooperazione orizzontale in pandemia: condividere la conoscenza

Le malattie non hanno confini, e lo scambio di esperienze è fondamentale: come quella con i paesi africani, esperti in medicina territoriale e misure per contenere la pandemia

Cooperazione orizzontale in pandemia: condividere la conoscenza

Il 31 gennaio 2020, l’Italia dichiara lo stato di emergenza: è il primo paese in Europa a segnalare l’aumento esponenziale di casi di contagi e di pazienti ricoverati per Covid-19.

I primi due casi “ufficiali” vengono individuati a Roma e portati all’Ospedale Lazzaro Spallanzani, struttura d’eccellenza nell’ambito delle malattie infettive ad alta intensità di cura e altamente contagiose.

Da anni l’Ospedale Spallanzani partecipa a un programma di cooperazione sanitaria che ha come obiettivo quello di potenziare il sistema sanitario pubblico nel settore della diagnosi e cura di infezioni emergenti e riemergenti.

É grazie a questo programma che Chiara Montaldo, infettivologa presso la Direzione Scientifica dello Spallanzani e operatrice umanitaria di Médecins sans Frontiers, nel 2020 partecipa a un incontro di formazione in Zambia. 

Portare una testimonianza sulle prime metodologie di cura sperimentate fino a quel momento in Italia è l’obiettivo principale dell’incontro. 

Un’esperienza che si rivela essere un prezioso confronto reciproco, durante la quale emerge la preparazione immediata dei paesi africani nella gestione della pandemia sul territorio

Cooperazione orizzontale in pandemia, le malattie non hanno confini

PANDORA-ID-NET, al quale aderisce l’Ospedale Spallanzani, è un progetto di cooperazione tra paesi europei e paesi dell’Africa subsahariana, nato per rafforzare la capacità di risposta alle epidemie in diverse regioni del continente africano e dare supporto a paesi colpiti.

In un mondo globalizzato come quello di oggi, le malattie non hanno confini. Un’epidemia che oggi colpisce una determinata area geografica domani potrà colpirne un’altra. Condividere la conoscenza è fondamentale sia per i paesi già coinvolti sia per quelli che ancora non hanno individuato casi ma che sono potenzialmente a rischio” spiega Chiara Montaldo. 

Un esempio è quello della Chikungunya, che ha causato un’epidemia in Lazio nel 2017. La Chikungunya è una malattia virale trasmessa da un tipo di zanzara che prima non era presente in Italia, ma ora, probabilmente a causa dei cambiamenti climatici, è presente ed è stata la causa del propagarsi della recente epidemia italiana. L’esperienza derivata dal trattamento di questi casi è stata utile per dare supporto alle successive epidemie che si sono verificate in altri contesti, in particolare quella verificatasi nella Repubblica del Congo nel 2019”. 

In questo caso quindi, e non solo, il progetto è stato molto utile per esportare una maggiore conoscenza della malattia e della sua gestione da un continente all’altro, rinforzando le capacità di diagnosi, prevenzione, sorveglianza epidemiologica e gestione clinico-terapeutica della malattia infettiva.

 

Condividere la conoscenza: l’Africa insegna

La dott.ssa Montaldo vanta un’esperienza di 15 anni con MSF, molti dei quali in paesi africani. Per MSF ho lavorato sul campo e successivamente nel coordinamento dei progetti. La mia esperienza in Africa si è focalizzata principalmente in aree colpite da epidemie come l’Ebola e la febbre di Lassa, in paesi come la Guinea, il Congo e la Nigeria; oggi mi è utile per capire meglio il contesto di intervento e fare delle valutazioni sulla fattibilità delle proposte di cooperazione in ambito sanitario”.

A marzo 2020, all’interno del progetto Pandora, che coinvolge 17 istituzioni africane, viene organizzato immediatamente un incontro di formazione in Zambia per trasmettere le conoscenze appena messe in pratica in Italia riguardo alla cura della neonata malattia, il Covid-19. 

Nonostante lo Zambia, come molti paesi africani, sia ancora Covid-free, e in generale i casi nel continente siano pochissimi, le linee guida per il controllo della pandemia sono chiare e già messe in atto, al contrario delle misure, ancora minime e dubbie, consigliate in Italia e in Europa. 

Appena arrivata a Lusaka mi sono subito resa conto del livello di implementazione delle misure per contenere l’epidemia, molto più avanzato rispetto al nostroIn aeroporto c’erano ovunque cartelli che indicavano l’obbligo di indossare le mascherine e ti chiedevano di lavare le mani prima di salire sul taxi. Il campionato di calcio era già stato sospeso (ad esempio) e la frequenza dei luoghi al chiuso era limitata. Tutte le precauzioni possibili erano già state messe in atto, e tra questi anche il controllo ai confini. I paesi africani hanno maturato esperienza per quanto riguarda le misure utili per frenare una pandemia. Le malattie infettive che si sono diffuse nel continente di recente sono diverse e il sistema sanitario pubblico non è attrezzato per far fronte a un alto numero di ricoveri”. 

Punto zero: coinvolgere la comunità

Come ricercatori dello Spallanzani abbiamo portato il nostro breve ‘vissuto”’ ovvero ciò che stavamo vedendo: i sintomi, e gli esempi di terapia sui singoli casi (oggi tutto è cambiato, e non diremmo di sicuro le stesse cose). Da parte dei medici locali invece, c’era molta più consapevolezza sull’importanza della medicina territoriale, le misure per contenere l’epidemia, il coinvolgimento delle strutture e dei medici che lavorano fuori dagli ospedali, a contatto con le persone, il coinvolgimento delle comunità locali stesse. Avere buone strutture ospedaliere in grado di accogliere e curare i malati gravi è importante, ma possiamo dire che la lotta all’epidemia ‘si dovrebbe giocare prima dell’ospedale’

A volte basta implementare da subito semplici misure preventive come il corretto uso delle mascherine, il distanziamento, il lavaggio delle mani, oltre al tracciamento e alla gestione precoce dei contatti, oltre che al coinvolgimento attivo del personale medico che opera nella medicina territorialeNei paesi africani è fondamentale puntare sulle misure di prevenzione, altrettanto importanti e meno costose, per compensare la carenza ospedaliera che non può’ permettersi un numero alto come il nostro di terapie intensive. 

Ma non si tratta solo di una questione tecnica, dipende anche dalla risposta della popolazione. Ho avuto modo di vedere e constatare un maggiore coinvolgimento della collettività, che forse ha più consapevolezza verso questo genere di malattie. Al contrario, nel nostro paese queste misure vengono spesso percepite come restrizioni individuali, e quindi solo come imposizione”.

 

 

La pandemia si combatte sul territorio, e con una distribuzione equa delle risorse

Purtroppo la gestione della pandemia è stata caratterizzata da una grande disomogeneità: in Italia ci sono state evidenti differenze tra categorie e tra regioni. Lo stesso disallineamento è avvenuto tra i paesi europei, che non hanno proposto misure comuni. 

La pandemia di SARSCoV2 ha sicuramente visto uno scambio di conoscenze rapido ed efficace tra paesi, che non era mai avvenuto prima: una condivisione a livello di virologia, quindi di conoscenza del virus, di ricerca sui vaccini e sui farmaci per la cura della malattia. Il coordinamento sul territorio però non è stato efficiente come avrebbe potuto.

Nel nostro paese, a causa della regionalizzazione della sanità, abbiamo visto evidenti differenze nella gestione dell’epidemia nella fase pre-ospedaliera, una fase altrettanto importante. E lo stesso possiamo dire per la somministrazione dei vaccini. Il tema dei vaccini apre un’altra grande questione. La ricerca sul virus ha attraversato le frontiere, ma non avviene lo stesso per la distribuzione delle risorse, ovvero dei vaccini. Avere un vaccino che funzioni è il primo passo per frenare una malattia infettiva, ma non ne assicura la scomparsa finché una parte sufficiente della popolazione non accesso al vaccino”.

Una realtà evidente: nel 2019, in Congo, i morti di morbillo sono stati più di 4000 (il 90% erano bambini), quasi il doppio rispetto ai morti per Ebola.  Eppure un vaccino molto efficace contro il morbillo esiste e oggi ha un costo relativamente accessibile.

L’ineguaglianza delle distribuzione dei vaccini è una tematica che in questi giorni sta raggiungendo anche la comunità dei giovanissimi. 

Greta Thumberg, che ha donato un’ingente somma dei premi vinti al WHO per l’acquisto dei vaccini nei paesi in via di sviluppo, ha dichiarato “La comunità internazionale deve fare di più per affrontare la tragedia dell’ineguaglianza dei vaccini, una sfida che non ha meno importanza del cambiamento climatico”. Una presa di posizione importante che può gettare le basi per una nuova presa di coscienza. 

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