Nell’intervista di giugno Erica Fre racconta la sua storia: un percorso difficile verso l’accettazione del sé e del proprio corpo “non conforme” che ha dato vita al progetto inclusivo Fase di Volo, per legittimare la presenza di differenti forme fisiche in ambito sportivo.
Fase di Volo è un progetto prezioso che tocca tematiche cruciali per la salute psicologica, mettendo in discussione un elemento dogmatico della nostra società, ovvero la visione secondo cui lo sport sembra essere appannaggio solo di determinati corpi.
Un atteggiamento che deriva dalla tendenza comune della nostra mente ad associare e costruire relazioni di causa-effetto immediate; una risorsa fondamentale nei processi creativi e intuitivi, ma che dà origine a dei bias, ossia delle distorsioni involontarie nella valutazione della realtà causate da un fraintendimento, quando incontra i pregiudizi.
Fase di Volo analizza alcuni di questi bias per acquisire consapevolezza degli effetti negativi che questi possono produrre, in quanto si tratta di meccanismi attivati in maniera inconsapevole, automatica e sistematica.
Uno di questi è l’idea comune di “fare sport per tenersi in forma”: ma che cosa significa, concretamente, “tenersi in forma”, nel concreto? Perché fare sport ci fa bene?
Partendo dall’esperienza di Erica, analizzeremo ora le differenti percezioni che ognuno di noi ha del proprio corpo, anche attraverso la mediazione del digitale, e come questo stesso corpo possa cambiare forme nel corso di un viaggio, un’esperienza di espatrio, una migrazione.
Questioni di forma, nello sport
Quando ci si riferisce a una “cultura” dello sport si intende il fatto che l’attività fisica non possa essere riducibile, come concetto, soltanto a una forma di intrattenimento o aggregazione. Si tratta, piuttosto, di un pilastro centrale per il benessere psicofisico dell’individuo e delle società. La ricerca scientifica ha fatto emergere da tempo i benefici dell’attività fisica tanto sul corpo quanto sul benessere mentale di chi la pratica. Tuttavia, nella realtà dei fatti, siamo forse ancora lontani dall’aver realmente compreso che cosa questo significhi.
Quando si parla di forma fisica si tende a tralasciare il fatto che questa espressione presenta anche un plurale – “forme” – scarsamente utilizzato, in quanto ci riferiamo generalmente a un modello, di una forma preminente, e tutte le variazioni sono considerate atipiche e non auspicabili.
In quest’ottica, fare sport per tenersi in forma diventa un mezzo per raggiungere gli standard estetici che permetteranno di ottenere, facendo pace con il proprio corpo, anche uno stato di benessere mentale.
Essere in salute, però, non significa raggiungere determinati canoni estetici. Nell’accostamento tra un corpo “perfetto” e un corpo salutare diventa difficile distinguere tra uno stato di salute integrato, ossia comprensivo degli aspetti riguardanti il corpo e la mente, e un corpo soddisfacente perché socialmente più accettato.
Questa visione parziale e diffusa dello sport deriva da una più generale e radicata tendenza a stigmatizzare i corpi considerati “non conformi”.
L’esistenza di pregiudizi nei confronti delle persone sovrappeso nella popolazione generale è ampiamente documentata (Cahnman, 1968; Dyrenforth, Wooley & Wooley, 1980; Goodman, Dornbusch, Richardson, & Hastorf, 1963; Lerner, 1969; Lerner & Korn, 1972; Staffieri, 1967; Wooley, Wooley, & Dyrenforth, 1979a, 1979b; Wright & Whitehead,1987), tanto da giustificare l’utilizzo del termine “grassofobia” per indicare la paura nei confronti del corpo grasso.
L’atteggiamento di pregiudizio nei confronti delle persone sovrappeso e l’interiorizzazione di questo sguardo stigmatizzante ha conseguenze, in termini negativi, sulla salute fisica e psicologica delle persone grasse e un impatto sociale non indifferente.
Lo stigma del corpo grasso
Le persone sovrappeso sperimentano, nella loro vita quotidiana, forme di stigmatizzazione derivanti da bias e pregiudizi, con conseguenze psicologiche, sociali e fisiche.
Per esempio, il weight-based bias produce stigmatizzazioni implicite ed esplicite basate sul peso corporeo, causando nelle persone che ne sono vittima umore negativo, ansia e bassa autostima.
Attraverso studi in differenti discipline è stato dimostrato come il weight-based bias sia pervasivo e socialmente accettato. Tale bias ha un impatto anche sulle opportunità di impiego delle persone sovrappeso o obese, per le quali è infatti più difficile essere assunte o promosse. Inoltre, dalle ricerche è emerso come persino i professionisti della salute – anche psicologica – tendano, inconsapevolmente, a stigmatizzare i propri pazienti sovrappeso o obesi, offrendo loro consigli medici o trattamenti inadeguati (medical fat bias, Robinson, Bacon, O’reilly, 1993).
In poche parole, i pregiudizi – per la maggior parte impliciti rispetto alle persone con corpi che deviano dal modello socialmente auspicabile – influiscono in modo rilevante sulla loro qualità di vita e sul benessere psicologico. Il weight based-bias, per esempio, non promuove né la perdita di peso, né l’adozione di comportamenti salutari. Al contrario, è stato dimostrato che essere oggetto di weight-based bias incentiva comportamenti alimentari maladattivi e diminuisce la motivazione all’esercizio fisico.
Dal body shaming alla body positivity: l’impatto dell’online sulla relazione con il corpo
Gli ambienti online, in particolare i social network sites fondati sulla condivisione di contenuti visivi, influenzano in vario modo la relazione con il nostro corpo, esercitando pressioni per il raggiungimento di quella forma fisica menzionata in precedenza e alimentando lo stigma nei confronti del corpo grasso.
É stato rilevato come l’utilizzo di social network incentivi negli e nelle adolescenti discussioni sull’estetica (body talk), comportamenti di attenzione pronunciata e di continua “sorveglianza” nei confronti della propria forma fisica (body surveillance) e critiche, commenti sarcastici o offensivi rispetto al corpo (body shaming) (Wang I., Wang X., Yang, Zang, Lei et al., 2020).
Inoltre, la quantità di tempo trascorsa sui social network sites – in particolare il loro utilizzo in attività focalizzate sull’aspetto fisico – è collegata a effetti negativi sull’immagine corporea nelle ragazze (Meier, Gray, 2014; Tiggemann, Miller, 2010).
In entrambi i generi, i social network sites sembrano alimentare l’insoddisfazione rispetto al proprio corpo, costituendosi come canale privilegiato per esercitare pressione per la magrezza (drive for thinness) (Tiggemann, Miller, 2010) attraverso contenuti che intendono ispirare la perdita di peso (thinspiration) e obiettivi riguardanti la forma fisica (fitspiration) nelle ragazze (Cohen, Newton-John, Slater, 2017) e la pressione a essere muscolosi (drive for muscularity) nei ragazzi (Gültzow, Guidry, Schneider, Hoving, 2020).
Le ricerche suggeriscono che l’insoddisfazione corporea sia associata a conseguenze per la salute come depressione e disturbi del comportamento alimentare (per esempio: Frederick et al., 2017; Grabe, Ward, Hyde, 2008; Olivardia, Pope, Borowiecki, Cohane, 2004, cit. in Gültzow et al., 2020).
In opposizione a queste tendenze, recentemente sta trovando spazio nei social una nuova forma di consapevolezza rappresentata dal movimento denominato body positivity.
Attraverso la presentazione di contenuti che mostrano corpi solitamente sottorappresentati nelle immagini mainstream (Cohen, Fardouly, Newton-John, Slater, 2019a; Cohen, Irwin, Newton-John, Slater, 2019b), chi promuove la body positivity tenta di proporre una visione alternativa, più inclusiva, rispetto agli ideali estetici dominanti comunemente riproposti sui social media. Rivendica, inoltre, la validità di ogni corpo nella sua unicità, indipendentemente dalle caratteristiche esteriori, dando piuttosto rilievo a funzionalità e salute corporea rispetto all’apparenza (Sastre, 2014, cit. in Cohen et al., 2020).
Alcuni ricercatori sottolineano come la diffusione di questi contenuti potrebbe contribuire al rafforzamento di un’immagine corporea positiva, rappresentando un fattore protettivo contro l’esposizione mediatica agli ideali di magrezza imperanti nel mainstream dei social (Andrew, Tiggemann, 2015; Halliwell, 2013, cit. in Cohen et al., 2020). A sua volta, infatti, un’immagine del corpo positiva (body positive image) favorisce il benessere psicologico, sociale ed emotivo (Swami, Weis, Barron, Furnham, 2018, cit. in Cohen et al., 2020) e comportamenti che promuovono la salute (Andrew, Tiggemann, Clark, 2016a, 2016b, cit. in Cohen et al., 2020).
La body positivity sembra poter contribuire ad approfondire il dibattito sociale sulla rappresentazione del corpo nei social media, mettendo in discussione standard di bellezza deleteri per la salute, alimentando l’inclusione di fisicità finora sottorappresentate e ampliando, idealmente, la gamma di modelli a cui i giovani si ispirano e con cui si identificano.
Ripensare lo sport, affinché sia fonte di benessere integrato
Abbiamo iniziato il nostro percorso domandandoci che cosa significhi essere in forma, analizzando la tendenza a sovrapporre aspetti legati all’estetica con l’idea di essere in salute e mettendo in luce il ruolo dell’online nell’incentivare un certo atteggiamento nei confronti del corpo, della/delle forma/e e dell’attività fisica.
Più che l’ottenimento di un fisico scolpito attraverso lo sport, a produrre benessere è il movimento in sé, in quanto attività in cui ci si impegna in maniera “totale”, attraverso il proprio corpo-mente. Non si tratta soltanto di un modo per bruciare calorie, snellire, tonificare, rassodare, scolpire e quindi produrre auto-compiacimento e soddisfazione.
Prendere in considerazione lo sport come attività gratificante in sé potrebbe favorirne una visione più sana, che con la “forma” fisica – ovvero l’estetica – ha a che fare solo parzialmente.
Fare esperienza dello sport in questi termini può essere d’aiuto anche a chi vive un’esperienza di espatrio, per il/la quale il rapporto con la propria immagine corporea e l’attività fisica può rappresentare una questione complessa.
Di questo, della relazione tra peso, forma corporea, migrazione e salute, parleremo la prossima volta.
Bibliografia
Cohen, R., Newton-John, T., Slater, A. (2017). The relationship between Facebook and Instagram appearance-focused activities and body image concerns in young women. Body Image, 23, 183–187. DOI: https://doi.org/10.1016/j.bodyim.2017.10.002.
Cohen, R., Newton-John, T., Slater, A. (2020). The case for body positivity on social media: Perspectives on current advances and future directions. Journal of Health Psychology, 26(13), 2365–2373. DOI: https://doi.org/10.1177/1359105320912450.
Frederick, D. A., Buchanan, G. M., Sadehgi-Azar, L., Peplau, L. A., Haselton, M. G., Berezovskaya, A., & Lipinski, R. E. (2007). Desiring the muscular ideal: Men’s body satisfaction in the United States, Ukraine, and Ghana. Psychology of Men & Masculinity, 8(2), 103–117. DOI: https://doi.org/10.1037/1524-9220.8.2.103.
Grabe, S., Ward, L. M., Hyde, J. S. (2008). The role of the media in body image concerns among women: A meta-analysis of experimental and correlational studies. Psychological Bulletin, 134(3), 460–476. DOI: https://doi.org/10.1037/0033-2909.134.3.460.
Gültzow, T., Guidry, J. P., Schneider, F., Hoving, C. (2020). Male Body Image Portrayals on Instagram. Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking, 23(5), 281–289. DOI: https://doi.org/10.1089/cyber.2019.0368.
Meier, E. P., & Gray, J. (2014). Facebook Photo Activity Associated with Body Image Disturbance in Adolescent Girls. Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking, 17(4), 199–206. DOI: https://doi.org/10.1089/cyber.2013.0305.
Olivardia, R., Pope, H. G., Borowiecki, J. J., Cohane, G. H. (2004). Biceps and Body Image: The Relationship Between Muscularity and Self-Esteem, Depression, and Eating Disorder Symptoms. Psychology of Men & Masculinity, 5(2), 112–120. DOI: https://doi.org/10.1037/1524-9220.5.2.112.
Pringle, R., Rinehart, R. E., & Caudwell, J. (2015). Sport and the social significance of pleasure. London: Routledge. Anteprima scaricabile a questo link.
Robinson, B. E., Bacon, J. G., & O’Reilly, J. (1993). Fat phobia: measuring, understanding, and changing anti-fat attitudes. The International journal of eating disorders, 14(4), 467–480. https://doi.org/10.1002/1098-108x(199312)14:4<467::aid-eat2260140410>3.0.co;2-j
Tiggemann, M., & Miller, J. (2010). The Internet and Adolescent Girls’ Weight Satisfaction and Drive for Thinness. Sex Roles, 63(1–2), 79–90. DOI: https://doi.org/10.1007/s11199-010-9789-z.
Wang, Y., Wang, X., Yang, J., Zang, P., Lei, L. (2020). Body Talk on Social Networking Sites, Body Surveillance, and Body Shame among Young Adults: The Roles of Self-Compassion and Gender. Sex Roles 82, 731–742. DOI: https://doi.org/10.1007/s11199-019-01084-2.
Understanding Obesity Stigma
Weight bias and obesity stigma: considerations for the WHO European Region (2017)
Per approfondire: consigli di lettura, ascolto, visione
Lettura
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“Fat Shame”, di Amy Erdman Farrell
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“Capolavori”, di Mauro Berruto
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“Specchio delle mie brame”, di Maura Gancitano
Visione
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“Little Miss Sunshine” di Jonathan Dayton e Valerie Faris
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“The Elephant man” di David Lynch, del 1980 ma tutt’ora puntuale: “Ancora oggi ci troviamo di fronte a soprusi, cattiverie e violenze scaturite da caratteristiche fisiche ocaratteriali che i miseri non riescono ad accettare.”
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Una lista di film e serie TV che cavalcano stereotipi legati al fat-shaming a questo link
Risorse online
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Fase di volo: IG e FB
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Belle di faccia
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