L’espatrio, per sport
“Al contrario dell’etnia, della razza e della religione, del genere e della sessualità, lo sport non è un aspetto identitario. Ma è un’attività a cui partecipano persone di tutte le culture in quanto professionisti, amatori e spettatori e che può generare un senso condiviso di appartenenza, un impegno appassionato e un significativo investimento in termini di tempo, sforzo e risorse”.
Si apre con queste parole un articolo dedicato allo sport e alle migrazioni del blog Moving People, Changing Places, sito web che si occupa di migrazione, identità e diversità nelle società contemporanee, esito di un progetto di ricerca condotto in UK da alcune università e finanziato dall’Arts and Humanities Research Council.
L’espatrio sportivo è un tema ricorrente nella vita di chi pratica sport a livello professionale. Sono numerosi, infatti, gli atleti e le atlete che si spostano dal proprio paese verso centri di formazione sportiva più appetibili e/o al fine di partecipare a campionati prestigiosi.
Come tutte le esperienze d’espatrio, lo spostamento per motivi sportivi presenta delle peculiarità. Nonostante quella economica sia la motivazione che più facilmente salta all’occhio, analizzando i movimenti del mercato dello sport si percepisce l’esistenza di altre ragioni altrettanto rilevanti per gli sportivi migranti. Tra queste: il miglioramento dei risultati individuali e di squadra, la maggior attenzione di alcuni paesi per determinate discipline, il perfezionamento delle prestazioni atletiche, la distribuzione di campionati, gare e tornei a livello globale e le condizioni climatiche e meteorologiche che favoriscono la pratica di alcuni sport.
La complessità delle traiettorie sportive, delle motivazioni e dell’impatto che possono avere sul benessere psicofisico – individuale e collettivo – fanno dell’espatrio sportivo un interessante fenomeno da analizzare, di cui tentiamo di tratteggiare una panoramica.
L’Italia all’interno dei flussi degli sportivi migranti
Le traiettorie dell’espatrio sportivo coinvolgono l’Italia sia sul fronte degli arrivi che su quello delle partenze. Per la sua popolarità nel nostro paese, è eclatante l’esempio del calcio maschile in cui si nota un elevato tasso di movimenti internazionali tra i club europei. Il campionato italiano di Serie A e la Superlega di volley maschile e femminile, considerati tra i campionati più prestigiosi al mondo, sono di fatto meta di numerosi/e top players internazionali.
L’elevato grado di articolazione, a livello globale, dei movimenti all’interno dell’industria dello sport rende difficile fare inferenze rispetto all’Italia come punto di partenza delle traiettorie migratorie. Appare, però, come lasciare l’Italia per motivi sportivi possa far parte di una scelta precisa: si tratta di un’opportunità, un punto di partenza per approcciarsi in maniera professionale alla propria disciplina senza trascurare il percorso di studi. Con il termine “self-initiated expatriation”, traducibile a grandi linee con il termine “espatrio a iniziativa personale”, ci si riferisce a chi intraprende una carriera internazionale per propria iniziativa (Al Ariss and Crowley-Henry, 2013; Inkson and Myers, 2003; Inkson et al., 1997; Myers and Pringle, 2005; Suutari and Brewster, 2000; Vance, 2005).
Nonostante si tratti di un fenomeno migratorio in aumento (Dolles, Egilsson, 2017) e l’ambito di ricerca sia in crescita (Agergaard and Ronglan, 2015; Maguire and Falcous, 2011; Taylor, 2007), il termine “self-initiated expatriation” non si trova facilmente nella letteratura relativa alla migrazione sportiva. Sembra che il numero di professionisti di ambito sportivo che espatriano sia più elevato rispetto a quello di chi appartiene ad altri settori lavorativi, soprattutto in riferimento a sport di squadra (Dolles, Egilson, 2017).
Studio e sport: le opportunità all’estero
Un caso particolare di flusso migratorio per motivi sportivi è rappresentato da chi si sposta per cogliere le opportunità offerta da college e High Schools, soprattutto statunitensi, rivolte a studenti e studentesse stranieri/e con notevoli capacità atletiche.
L’immaginario del cinema made in USA ci ha abituati al fatto che lo sport sia un vero e proprio culto all’interno del sistema educativo americano, a partire dai primissimi anni di scuola fino all’Università. Ed è proprio così. Nei college statunitensi si contano circa 450.000 giovani che competono nei campionati universitari in 23 diverse discipline, le quali rappresentano dei veri e propri trampolini di lancio per la propria carriera sportiva su scala mondiale. L’ente che regola gli atleti studenti del Nord America si chiama National Collegiate Athletic Association (NCAA) e si occupa dell’organizzazione di tutti i tornei delle 23 discipline articolate su tre livelli di prestigio. Per studenti e studentesse che scelgono di intraprendere una carriera sportiva all’interno del college vengono stanziati fondi in borse di studio per meriti sportivi che, ogni anno, ammontano a circa 3.5 miliardi di dollari. Gli atleti ammessi hanno la possibilità di frequentare un programma specifico di studio e allenamento, perseguendo quella che viene definita “dual career”.
Sportivi e sportive italiani/e all’estero: storie di espatrio
È questo il caso di Daisy Osakue, discobola e pesista italiana, medaglia d’oro nel lancio del disco alle Universiadi 2019 e detentrice del record nazionale della specialità. Nel 2020 si è posizionata al dodicesimo posto nel lancio del disco ai XXXII Giochi Olimpici di Tokyo.
Daisy è una dei e delle tanti/e atleti/e che hanno studiato e praticato il lancio del disco in un’università USA, la Angelo State, in Texas. Il suo coach notò il suo nome nella lista delle migliori 50 discobole dell’ultimo anno e le propose di coltivare il suo sogno da sportiva negli Stati Uniti con una borsa di studio. Ad Abilene, in Texas, Osakue ha lanciato il disco a 57.49 metri, stabilendo dopo 39 anni un nuovo primato italiano under 23, aggiudicandosi la quarta miglior prestazione di sempre per l’Italia nel settore del lancio del disco femminile, migliorando un anno dopo la sua prestazione proprio alla San Angelo University, raggiungendo i 59.72 metri.
Il cestista Andrea Bargnani è un altro celebre esempio di expat sportivo: “il Mago” è stato il primo giocatore europeo ad essere selezionato come prima scelta assoluta dai Toronto Raptors al draft NBA.
La complessità dell’espatrio sportivo
La mobilità legata allo sport implica caratteristiche uniche che derivano dal rapporto con i differenti luoghi e dalle identità costruite all’interno dei contesti sportivi, tematiche di cui si è occupata la ricerca scientifica in ambito sportivo (Dolles, Egilsson, 2017). All’interno di questo flusso migratorio specifico, ogni movimento è fortemente influenzato dalla natura e struttura della disciplina sportiva praticata, con enormi variazioni tra paesi e continenti (Maguire and Falcous, 2011, p. 5).
La migrazione sportiva è inserita, infatti, all’interno di un contesto complesso: quello dell’industria sportiva. A sua volta, essa è parte di una serie di altri sistemi economici e politici su scala globale, all’interno dei quali proprietari, amministratori, agenti, arbitri e media giocano una parte rilevante nello strutturare la vita degli atleti. A rendere peculiare (e complesso) l’espatrio sportivo è, inoltre, il coinvolgimento dei membri familiari che accompagnano tutti i professionisti dello sport. Gli atleti, infatti, non sono gli unici professionisti in ambito sportivo migranti: allenatori, managers, preparatori atletici, arbitri, amministratori e giornalisti si muovono anch’essi per il globo e all’interno della scena dello sport professionale (Maguire, 2002). A viaggiare con gli atleti è l’intero mondo dello sport con i suoi lavoratori.
I risvolti psicologici dell’espatrio sportivo
Diversamente da altri tipi di migranti altamente competenti nei relativi settori, che si muovono sulla base di un’educazione formale e duratura, gli atleti costruiscono e devono fare affidamento sul proprio “capitale fisico”. Se, da un lato, tale “capitale corporeo” richiede grandi quantità di ore per essere accumulato (Schilling, 1991), dall’altro lato esso è da considerarsi temporaneo, così come la carriera sportiva. Contemporaneamente, gli atleti sono esposti ad un costante rischio di infortunio che rappresenta una minaccia permanente all’expertise motoria, e al capitale corporeo, su cui è fondata la loro carriera. Inoltre, la competenza specifica e unica acquisita dagli atleti sulla quale essi investono la loro – relativamente breve – vita professionale, potrebbe non essere direttamente utilizzata una volta terminata la loro carriera di atleti, comportando una necessaria trasformazione identitaria e lavorativa. Ciò richiede, di conseguenza, una grande capacità di ri-adattamento (Agergaard and Tieslet, 2014, p. 6). Quello sul capitale fisico è un investimento “instabile” che differenzia l’atleta da chi si sposta per una carriera intellettuale che, al contrario, può portarla avanti in modo più prolungato nel tempo.
Un filone di ricerca in psicologia dello sport si è focalizzato sull’analisi dei fattori di stress e le reazioni stress-correlate. In particolare, l’attenzione si è concentrata sulle strategie di coping – le modalità con cui le persone rispondono e fronteggiano situazioni avverse e sfidanti – e di adattamento durante le transizioni nelle carriere degli atleti (per esempio Bruner et al., 2008; Erpič et al., 2004; Holt, 2003; Weedon, 2011). E’ stato osservato come gli atleti usino tecniche di gestione dello stress e interventi comportamentali per rispondere alle richieste dei nuovi ambienti che permettono loro di riorganizzare con un’evoluta capacità di adattamento ed elevata plasticità non solo la propria vita, ma anche l’assetto mentale in momenti di difficoltà. Allenamenti e trasformazioni di carriera potrebbero configurarsi come fattori protettivi rispetto all’adattamento ai nuovi contesti, contrapponendosi al potenziale fattore di rischio rappresentato dall’investimento sul capitale fisico.
La prospettiva psicologica sull’espatrio sportivo sottolinea, in ogni caso, l’importanza della sensibilizzazione pre e post-migrazione per migliorare la conoscenza delle situazioni e delle esperienze che i lavoratori dello sport possono incontrare una volta arrivati in un nuovo paese (Bourke, 2003; Wylleman e Lavalle, 2004).
Uno sguardo al futuro, verso il benessere di lavoratori e lavoratrici dello sport
Gli sportivi migranti rappresentano un fenomeno complesso, che comprende più fattori e che vede in campo differenti attori inseriti in un’industria: atleti, atlete e il mondo che vi ruota attorno.
Abbiamo osservato come, nonostante l’instabilità “costitutiva” della carriera di atleta, l’allenamento possa fungere da fattore protettivo nei termini di adattamento a un nuovo contesto sociale.
Oltre alla salute psicofisica degli atleti, è importante porsi domande anche rispetto al benessere di chi si muove attorno a e con loro. Come sta chi espatria “per sport” senza essere atleta?
Le storie di espatrio legate a tutte professioni in ambito sportivo sono un campo importante da esplorare. Il benessere psicologico non può essere inteso unicamente come benessere del singolo – atleta – : al contrario, necessita di essere concettualizzato come benessere di un sistema, raggiungibile solo se è garantita attenzione alle relazioni intra-individuali e una buona qualità della vita di tutte le persone inserite all’interno di quello stesso apparato.
Per approfondire
Aledda, A. (2008). Sport e flussi migratori. Due parallele destinate a convergere? Affari sociali e internazionali, n. 3-4, pp. 37-46.
Dolles, H., & Egilsson, B. (2017). “Chapter 18: Sports expatriates”. In Research Handbook of Expatriates. Cheltenham, UK: Edward Elgar Publishing.
Calcio e migrazioni un fenomeno mondiale
Moving People Changing Places – Sport, Identity, Migration.
Poli, R., Ravenel, L., Besson, R. (2022). Football players’ export: 2017-2022. CIES Football Observatory Monthly Report n°75.
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