L’8 febbraio si celebra, in Italia così come in molti altri paesi, la giornata mondiale per la sicurezza in rete. Si chiama Safer Internet Day ed è stata istituita e promossa dalla Commissione Europea. La riflessione che dà il titolo all’edizione di quest’anno è “Together for a better internet”, cioè “Insieme per un internet migliore”.
E’ una call to action rivolta a tutti e tutte: genitori, adulti di riferimento, insegnanti, educatori ed educatrici, politici. Chiunque voglia avere un ruolo nella creazione e nella salvaguardia di un miglior mondo online. Ma, soprattutto, chiama a raccolta i e le giovani attorno a nuclei tematici fondamentali per la loro crescita e il loro benessere.
Educare ragazzi e ragazze allo sviluppo di un pensiero critico sui processi di digitalizzazione è fondamentale per assicurarsi che costruiscano un web sicuro e positivo. Se vogliamo che siano artefici di un Internet che non sia solo un luogo insidioso, dal quale difendersi. Se desideriamo che non siano costretti a subire passivamente la rete a causa del loro analfabetismo digitale. E se vogliamo che, in quanto porzione importante della loro esperienza, sappiano leggerla e decifrarla, per integrarla nel modo più sano possibile nella quotidianità.
In questa giornata di sensibilizzazione a proposito dell’uso positivo e consapevole della rete e delle tecnologie digitali, divulghiamo i risultati del recentissimo dossier EU Kids Online 2020. Un rapporto che scatta una fotografia (con grandangolo) della relazione tra i/le giovani dell’Unione Europea e la rete.
Il Rapporto 2020 su Giovani e tecnologie: una panoramica della situazione in UE
Che esperienza fanno di Internet bambini, bambine, ragazzi e ragazze europei della fascia d’età 16-19 negli anni ‘20 del 2000?
E’ a questa ambiziosa ma necessaria domanda che l’indagine condotta nell’ambito del progetto EU Kids Online Network tenta di dare una risposta.
Chiedersi come stanno e cosa fanno i/le giovani online significa fare una fotografia di uno dei tanti modi del loro stare al mondo. Scattare un fermoimmagine utile per ipotizzarne i futuri sviluppi. Perché permette una pianificazione lungimirante delle azioni, una calibrazione degli interventi a lungo termine a partire da dati empirici.
Nel Report sono riassunti i risultati dell’indagine condotta, tra il 2017 e il 2019, in 19 paesi dell’UE. Sono 25.101 i/le giovani a essere stati intervistati a proposito del loro rapporto con le tecnologie digitali.
Lo studio si colloca in continuità con un’indagine di 10 anni più anziana, di cui riprende alcuni aspetti. Il vantaggio è quello di avere, nello stesso album, una fotografia del passato e una del presente, a scatto multiplo, scomponibile in 19 differenti diapositive. Un ritratto multidimensionale, al contempo statico e dinamico.
Questa impostazione metodologica della ricerca permette, in definitiva, di far emergere elementi di continuità e differenze da un punto di vista:
- temporale, tra l’Internet attuale e quello che i giovani frequentavano “ieri”;
- geografico, tra differenti stati membri.
Ne scaturisce la possibilità di fare previsioni, utili a delineare raccomandazioni orientate al futuro in ambito legislativo, politico e di educazione al digitale.
L’indagine si è sviluppata seguendo quattro direttrici. I dati raccolti attraverso ciascuna di esse hanno permesso di dipingere quattro differenti facce del rapporto tra giovani e Internet, offrendo un quadro multidimensionale.
Aree indagate e key-findings del Report 2020
Ecco le sfaccettature in questione (key-areas) e (alcuni) dei principali risultati ottenuti (key-findings).
- Access – accesso. Indica le possibilità dei/delle giovani di accedere alla rete e attraverso quali modalità/strumenti. Una diretta conseguenza è la quantità di tempo che trascorrono online. Key-findings: per accedere a Internet, i/le giovani utilizzano soprattutto lo smartphone. La possibilità di connettersi ha due caratteristiche principali: bambini, bambine e soprattutto ragazzi e ragazze sono connessi sempre, in qualunque luogo. E dichiarano di utilizzare lo smartphone “ogni giorno” o “per quasi tutto il tempo”. Si tratta di una ‘anywhere, anytime connectivity’.
- Lo studio indaga che cosa bambini/e e ragazzi/e fanno online e qual è il loro livello di competenza nell’utilizzo delle tecnologie (practices and skills – pratiche e abilità). Key-findings: tra le attività preferite e quotidiane: guardare video, ascoltare musica, comunicare con amici, amiche e familiari, frequentare i social, giocare online. La maggior parte dei soggetti intervistati ha ottenuto punteggi elevati nelle competenze sociali e nelle capacità operative. Risultati contrastanti, a seconda del paese, sono stati rilevati per le abilità di navigazione online. Se la passa male la cara vecchia Europa: bassi punteggi in particolare per Germania, Spagna, Francia e Italia. Chi l’avrebbe mai detto(!). Il livello è eterogeneo anche per quanto riguarda le capacità creative. Ma, nella maggior parte degli Stati, meno della metà dei soggetti afferma di saper editare o apportare semplici modifiche ai contenuti online.
- Obiettivo dell’indagine è ottenere una mappa di rischi e opportunità (risks and opportunities), esplorando le attività ed esperienze che possono essere lesive oppure condurre a esiti positivi. Fra l’ampio ventaglio di rischi: generiche esperienze negative, aggressioni online e cyberbullismo, contatto con contenuti potenzialmente dannosi o a sfondo sessuale, uso improprio dei dati, uso eccessivo di Internet, incontro con persone sconosciute online, uso preferenziale di comunicazione online.
Key-findings:
- C’è molta differenza, tra i diversi Stati, rispetto alla variabile “rischio”. Alla domanda generica “Nell’ultimo anno, ti è mai capitato che ti accadesse qualcosa, online, che ti ha infastidito o turbato in qualche modo?”, le percentuali di risposte affermative o negative variano molto. Risponde “sì” il 7% degli/delle intervistati/e in Slovacchia, il 45% a Malta. Gli altri paesi si collocano fra queste due polarità. Parallelamente, il numero di giovani che dichiarano di non aver raccontato a nessuno le esperienze negative vissute oscilla tra il 4% (Francia) e il 30% (Estonia). Questo ci dice molto di quanto cambi, a livello soggettivo e culturale, la percezione delle situazioni di rischio e dei potenziali danni.
- Una tendenza comune riguarda la scelta delle persone a cui i/le giovani si rivolgono se decidono di raccontare i vissuti negativi. Più facilmente a un genitore, a un/una amico/a o a entrambi. Meno spesso ad altre figure adulte di riferimento come gli/le insegnanti.
- Le strategie adottate per contrastare le esperienze negative nell’online sono varie: riferire a qualcuno l’accaduto, chiudere la finestra o l’app, bloccare il contatto con cui si sta interagendo. Alcuni tendono a ignorare il problema, sperando che si risolva da solo. Altri si sentono colpevoli per ciò che è accaduto. In generale, è alto il numero di utenti che adottano risposte passive ai rischi di Internet. Pochi modificano le proprie impostazioni di privacy in seguito a un’esperienza negativa. In Italia, pochissimi segnalano il problema a chi gestisce le piattaforme (3%). Sono dati che segnalano carenze a livello di saggezza digitale, intesa come utilizzo attivo delle risorse online, a vantaggio del proprio benessere e della propria salute. Bisognerebbe stimolare in ragazzi e ragazze il ricorso a strategie di gestione di tipo sociale (parlarne con i pari, genitori o altri adulti di cui ci si fida) e di tipo proattivo, ovvero orientato alla prevenzione.
Le differenze rispetto al Rapporto del 2010
Sappiamo che Internet procede spedito: accelera processi, accumula una grande mole di informazioni e dati. Ci sembra di non riuscire mai a stare al passo con la sua crescita vertiginosa. Sembra un/un’adolescente che, nel pieno delle proprie trasformazioni, ha una fame insaziabile, e nel giro di pochi mesi, cambia forme, voce, proporzioni.
Solo che il web sembra essere in una fase di perenne adolescenza, e questa crescita sgangherata e fulminea appare come una condizione non di passaggio, ma connaturata. E’ per questo che 10 anni di Internet ci sembra corrispondano, in termini di fluide trasformazioni, a un periodo molto più esteso di vita “analogica”.
Come è cambiata l’esperienza dell’online in 10 anni? L’indagine che sta alla base del Rapporto 2020 è una replica – parziale – di uno studio condotto nel 2010. Sebbene non siano completamente sovrapponibili (già: nel frattempo sono cambiate anche modalità e strumenti del fare ricerca), alcuni dati danno la misura di un’evoluzione irreversibile.
Rispetto al 2010, è cresciuto il numero di bambini/e online. L’età del primo accesso si è progressivamente abbassata. Anche il tempo trascorso in rete è aumentato. Oggi, la maggior parte dei/delle bambini/e che è online ha dei genitori che sono online a propria volta. Nel 2010 i/le “grandi” non sapevano utilizzare la rete e, quindi, i più piccoli potevano contare meno sul loro supporto. Hanno preso piede servizi e mondi digitali come Instagram e Tiktok, particolarmente frequentati da ragazzi e ragazze. Policies e azioni legali, con i loro tempi – più pigri -, hanno risposto a questa trasformazione, contribuendo al cambiamento del panorama online e delle sue regole. Ma è un paesaggio che è destinato a mutare ancora. E con le cui rapide trasformazioni dobbiamo prendere confidenza per poterci orientare nella progettazione di un futuro di consapevolezza.
L’impatto del contesto sociale sull’utilizzo dei media digitali da parte dei/delle giovani: il ruolo fondamentale delle figure adulte
Ogni risultato, per essere realmente compreso, va calato nel contesto sociale (social context) dal quale emerge. E’ questa la quarta “key-area” attraverso cui viene indagata l’esperienza che i/le giovani fanno, oggi, dell’online. L’abbiamo lasciata per ultima, dedicandovi un’apposita sezione, per il suo spessore.
Nel Report viene dato rilievo al ruolo degli attori sociali che impattano sull’utilizzo di Internet da parte di bambini/e e adolescenti. Il focus è su mediazione, sharenting (condivisione in rete, da parte dei genitori, di contenuti che riguardano il/la proprio/a figlio/a) e la percezione che il/la giovane ha dell’ambiente digitale.
Nella maggior parte dei paesi, i genitori mediano attivamente l’utilizzo che i figli fanno delle tecnologie: dialogano, li incoraggiano, li aiutano, suggeriscono modalità per un utilizzo sicuro. La tendenza generale è, comunque, quella di favorire un utilizzo sicuro piuttosto che l’esplorazione delle opportunità che Internet mette a disposizione.
E, considerando quante sono, ci sembra un peccato. Forse, il punto è che nemmeno loro le conoscono. Spesso, però, si riscontra un disallineamento tra utilizzo sempre più precoce dei dispositivi digitali e il timing degli avvertimenti da parte degli adulti.
I consigli arrivano con ritardo. E ci si preoccupa molto più del “quando” e del “quanto” i giovani stanno online, interrogandosi molto meno sul “come”.
I dubbi amletici: il come, il quando e il come
Qual è l’età più adatta per il primo contatto con il digitale? L’American Academy of Pediatrics (AAP) suggerisce che il contatto con gli schermi andrebbe completamente evitato prima dei 18 mesi. Sebbene possa essere una massima di buon senso, ci sembra un’indicazione quantomeno difficilmente applicabile se non avulsa dalla realtà in cui viviamo.
E’ impensabile che un/una bambino/a non conosca schermi prima dell’anno e mezzo, in quanto nasce immerso/a in un contesto già digitalizzato. Un criterio fondamentale diventa, allora, che questi primi contatti siano di qualità. Che i contenuti siano scelti dagli adulti, che le attività non siano passivizzanti e isolanti ma, al contrario, che la fruizione sia attivante, interattiva.
L’utilizzo della tecnologia a scopo socializzante (per esempio: videochiamate con parenti o altre figure significative) può essere arricchente anche per i/le più piccoli/e. Il tempo mediato dai dispositivi deve essere bilanciato e non deve interferire con altre attività importanti. Meglio ancora se la fruizione è congiunta e, di conseguenza, il tempo passato online è condiviso.
Informarsi, studiare, apprendere. Fare scelte rispetto all’ambiente digitale in cui i/le propri/e figli/e sono inseriti/e. Sono tutte responsabilità (e fatiche!) in più dell’essere genitori oggi.
Una serie di strumenti possono aiutare, in questo senso. L’AAP ha pubblicato una guida interattiva per genitori, per individuare i media più indicati per le differenti fasce d’età e l’ideale tempo di utilizzo. Un altro esempio: Mamamò è un portale italiano dedicato all’educazione digitale di bambini/e, ragazzi/e e adulti. Fornisce recensioni di app e contenuti multimediali e notizie su media education e tecnologia under-13.
Il discorso vale anche per le fasce d’età superiori. Crescendo, però, entra in gioco un’altra variabile fondamentale e delicata, che è quella del rispetto del confini e della privacy del/della giovane. Qual è l’età giusta per il possesso personale dei dispositivi digitali? Il “giusto” va di pari passo con il “consapevole”. L’ideale sarebbe che il/la ragazzo/a avesse iniziato a costruire una cultura del digitale in cui rientrino competenze tecniche e, soprattutto, responsabilità e saggezza. E questo è qualcosa che va costruito con anticipo e gradualità all’interno della relazione. Non si tratta semplicemente di imporre delle regole, di trasmettere dei “dos and don’ts”. Piuttosto, significa occuparsi precocemente di creare insieme dei confini chiari, di costruire una relazione che sia sostanziata da fiducia reciproca. Anche mettendo insieme le conoscenze.
Il Report 2020 indica come una considerevole porzione di giovani si trovi molto spesso ad aiutare i genitori quando sono in difficoltà nell’utilizzo delle tecnologie. Questa forma di “mediazione inversa” (reverse mediation) evidenzia un gap generazionale, in cui gli adulti rimangono indietro a figli/e per competenza digitale. Ma è un dato che potrebbe suggerire, ottimisticamente, che i/le grandi non temono un aiuto da parte di chi è più giovane. Potrebbe significare che esiste spazio per il confronto e lo scambio di saperi. E questa è un’ottima notizia.
La possibilità di affrontare insieme la sfida di imparare a gestire la realtà digitale potrebbe essere una grande risorsa. Nessuno dice che non sia impegnativo. Ma, in fondo, la fatica è minore se condivisa.