Famiglie arcobaleno. Tornare in Italia? Quando saremo riconosciuti e tutelati

Famiglie arcobaleno – Il nostro paese è uno dei pochi in Europa a non garantire diritti alle famiglie omogenitoriali e proteggerle da attacchi e discriminazione.

Famiglie arcobaleno

Noah ha quasi tre anni e fa parte della nuova generazione di italiani nati all’estero. Nel paese in cui è nato e vive, la Spagna, ha due genitori, ma sul passaporto fornito dal suo paese di appartenenza, l’Italia, uno solo. 

Chiara è uno dei suoi due genitori: dopo un anno di pandemia e lontananza dalla propria famiglia ogni tanto accarezza l’idea di tornare in Italia, prima o poi, per stare vicino ai genitori e al fratello e poter avere quella rete di sostegno che spesso allevia le fatiche dei neo-genitori. 

Molti al suo posto valuterebbe l’ipotesi di un rientro, ma sono troppi i dubbi e le incertezze che rendono questa possibilità poco reale, perché l’Italia, rispetto agli altri Paesi europei, non è certo all’avanguardia quando si parla di diritti LGBT.  

In giro per l’Europa, destinazione Spagna

Dopo dodici anni di studio e lavoro a Milano, Chiara, originaria della provincia di Alessandria, torna a casa dei genitori. Una scelta obbligata e sofferta, che però le cambia la vita.

In quel periodo non avevo un lavoro stabile e avevo rotto una lunga relazione con il mio fidanzato” racconta. Così sono tornata a casa, un cambiamento per nulla facile ma spesso la vita ti porta le cose belle proprio nei momenti più complicati: il destino mi ha fatto incontrare Sara, che viveva in un paese non lontano da casa mia. 

Dopo solo qualche mese da quando ci siamo conosciute l‘ho convinta a seguirmi in una nuova avventura: andare a vivere a Londra. Ho studiato per diventare interprete e traduttrice ma ho anche seguito una seconda Laurea in ambito veterinario, focalizzata sul benessere animale e idroterapia (riabilitazione acquatica) di animali di piccola taglia. 

L’Inghilterra mi ha dato la possibilità di fare pratica in questo campo che amo, anche se purtroppo gli sbocchi lavorativi sono pochi e di difficile accesso al di fuori dell’Inghilterra. 

Ci siamo quindi trasferite insieme in Germania per un breve periodo e alla fine abbiamo scelto come meta Barcellona. In Spagna avevamo diversi amici e nel giro di poco ho trovato un lavoro. Ora dopo anni, abbiamo lasciato Barcellona per spostarci in una città nella sua periferia, e ci piacerebbe spostarci ulteriormente e andare in campagna: attendiamo, per vedere se questo nuovo modo di lavorare, ovvero il remote working, proseguirà e ci permetterà di realizzare questo progetto”. 

 

Famiglia arcobaleno

 

Il legame madre-figlio non è solo DNA

Nel 2015 Chiara e Sara decidono di sposarsi. Desideravo un figlio da sempre e anche Sara dopo qualche anno insieme si è sentita pronta. Come tante coppie però attendevamo il momento giusto, ovvero una situazione più stabile e meno precaria dal punto di vista lavorativo. 

Abbiamo così iniziato il processo della fecondazione assistita. Qui in Spagna per il primo figlio, anche se si tratta di fecondazione eterologa, ci si può rivolgere al sistema sanitario nazionale fino a tre tentativi. 

La gravidanza tanto attesa è arrivata e a ottobre del 2018 è nato il piccolo Noah, la nostra gioia più grande”.

 

Famiglia omogenitoriale

 

Nei Paesi come la Spagna, in cui non vige lo ius sanguinis ma lo ius soli, i bambini nati da genitori stranieri acquisiscono la cittadinanza dei genitori, i quali possono scegliere all’anno di età di far prendere al figlio la cittadinanza del Paese di nascita, ma solo rinunciando a quella italiana. L’atto di nascita deve essere registrato nel Consolato del proprio Paese per richiedere i documenti di identità, e successivamente anche nell’ultimo comune di residenza di uno dei genitori. 

L’Italia però, non riconosce facilmente i diritti alla famiglie omogenitoriali a differenza della Spagna. In Italia Noah ha solo una mamma, Chiara, in quanto madre biologica, perché il legame di sangue e il DNA contano di più della responsabilità genitoriale.

Essere una famiglia, ma solo all’estero

Noah porta ovviamente il cognome di entrambe” spiega Chiara. “I problemi sono iniziati sin dalla registrazione al consolato, dove ci hanno detto che il sistema non permetteva di inserire due genitori dello stesso sesso, e che quindi avrei potuto registrare soltanto il mio nome. 

Il nome di Sara non compare sul passaporto di nostro figlio e quando, in occasione di un viaggio di lavoro, Sara e Noah mi hanno raggiunta successivamente, ho dovuto fare un’autorizzazione ufficiale per permetterle di viaggiare con il suo bambino. 

La prima volta tutti e tre in Italia siamo andate personalmente a richiedere la registrazione nel nostro vecchio Comune di residenza (procedura che normalmente avviene in automatico mediante la trasmissione dei documenti di nascita dal consolato al comune italiano); ma il funzionario si è chiaramente rifiutato di registrarci. 

Così abbiamo dovuto contattare il sindaco e segnalare la questione ai giornali locali: insomma, grazie all’aiuto di associazioni e una amministrazione comunale che ha desiderato sostenerci, nostro figlio è stato registrato nel mio Comune ottenendo finalmente la sua carta d’identità, ma non è stato affatto semplice, e ancora oggi in Italia noi non siamo una famiglia”.

Un genitore senza diritti

Nel nostro Paese Chiara è quindi l’unico genitore riconosciuto, e in sua mancanza, il bambino verrebbe affidato ai famigliari di Chiara e non a Sara, che lo ha accolto tra le braccia quando è venuto alla luce e che è stata sempre accanto a lui nel primo e fondamentale periodo della vita. 

Inoltre, in caso di un’eventuale separazione Sara non avrebbe legalmente diritti e doveri verso suo figlio.

Come tutti coloro che vivono lontani dalla famiglia, l’ultimo anno e mezzo è stato piuttosto difficile, e per la prima volta dopo diversi anni ci è capitato di pensare a come sarebbe un eventuale ritorno in Italia. 

Mia mamma sta affrontando alcune difficoltà e le restrizioni hanno amplificato la distanza. L’estate scorsa ho perso il lavoro perché la mia azienda ha tagliato un migliaio di dipendenti causa Covid. Per fortuna ora mi si è aperta una nuova opportunità, anche se non si tratta del mio lavoro ideale, ma mi permette di sostenere la mia famiglia. 

A mia moglie le cose sono andate ancora peggio sia come tatuatrice (la sua professione) che nel settore della ristorazione, in cui ha spesso lavorato in passato: è stata a casa a lungo e si è occupata a tempo pieno di Noah. Se tornassimo in Italia, avrebbe molte più opportunità. Ma lei, più di me, vede la possibilità di rientro ancora molto lontana. 

Secondo il nostro Paese Noah non è suo figlio, e questo non possiamo accettarlo. 

Anche se fosse riconosciuto attraverso la sentenza di un tribunale (ci stiamo infatti informando per seguire questa direzione), desidereremmo che esistessero leggi in grado di tutelarla in tutti gli ambiti: deve essere garantito il suo ruolo in tutti gli ambiti dall’educazione alla salute. Siamo una famiglia come le altre ed è così che vorremmo essere trattate”.

Manca una legge in grado di proteggere le minoranze

Proprio la settimana scorsa, davanti all’Istituto Rosselli di Torino, una ragazza è stata aggredita da un gruppo di coetanee, a causa del proprio orientamento sessuale. Le vittime di aggressioni fisiche o verbali sono numerose, e la maggioranza di queste non vengono ovviamente segnalate.  

 

Famiglie arcobaleno

 

Purtroppo non esiste Paese al mondo che non avvengano episodi di omofobia; qual è quindi la differenza tra Italia e Spagna? 

A Barcellona i giornali hanno riportato svariate notizie di aggressioni omofobe di recente, e anche qui ci sono persone che purtroppo non rispettano le minoranze” racconta Chiara “Abbiamo anche un vicino di casa palesemente omofobo e lo sappiamo. Ma qui mi sento tutelata dalla legge e protetta dallo Stato: questa è la grande differenza”.

In Italia non esiste questo genere di tutela in caso di aggressione omofoba, almeno fino a che il DDL Zan non verrà approvato e con essa l’aggravante per i reati contro la comunità LGBTQ+ e finché non verranno garantiti sistemi di tutela, protezione e soprattutto prevenzione. 

In Europa esiste una legge contro l’omofobia ormai in tutti i paesi, ad eccezione dell’Italia, della Lituania e della Bulgaria.

Devo ammettere che durante i periodi di permanenza in Italia non abbiamo mai vissuto situazioni sgradevoli. Effettivamente, da quando siamo una famiglia, non ci siamo fermate in Italia per lungo tempo; posso solo immaginare come potrebbe essere la nostra vita, ma dall’estero è difficile prendere le misure. 

Forse la lontananza amplifica alcune problematiche, è vero, ma la percezione che si ha da fuori mi mette un po’ di timore verso coloro che non vedono di buon occhio le famiglie come la mia; probabilmente si tratta di una minoranza, ma è una minoranza rumorosa e spalleggiata da una parte della politica. 

Mi spaventa il razzismo in generale, la discriminazione verso chi è diverso, di qualsiasi diversità si tratti; ma so che le cose gradualmente stanno cambiando e spero, in futuro, in un’accoglienza diversa, soprattutto per mio figlio, da parte del nostro Paese d’origine”.

di Silvia Trisolino

Chiara collabora con Donne che emigrano all’estero, il blog che raccoglie pensieri, riflessioni e storie di tante donne italiane che vivono lontano dal proprio paese. 

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