Per l’essere umano mangiare è molto di più che nutrirsi. La preparazione del cibo e il suo consumo sono azioni costellate da elementi culturali che danno un particolare significato all’esperienza dell’alimentazione. Il cibo stesso può essere considerato un elemento culturale. Il fatto di preferire determinati alimenti e di rifiutarne altri ha, in parte, un’origine culturale. A ogni cultura appartiene un codice di condotta alimentare che privilegia determinati alimenti e ne vieta o ne rende indesiderabili altri.
Associare il mangiare con le bacchette all’Asia, la paella alla Spagna, la preparazione del ragù alla domenica, lo spumante alle grandi ricorrenze, è un processo che mette in moto una serie di meccanismi cognitivi ed emotivi che riguardano da vicino l’identità e la cultura.
Il rapporto tra cibo e identità entra in azione ogni volta che si presenta il principio di alterità, poiché l’alimentazione costituisce uno dei luoghi chiave per l’incontro tra sé e gli altri, ed è nei contesti migratori che il cibo risulta essere un veicolo particolarmente forte di negoziazione dei significati.
Cibo e legami culturali
L’alimentazione e i suoi rituali sono in grado di mantenere in vita alcuni legami con la cultura di origine anche perché sono in grado di possono assumere una forma diretta, immediata, fisica¹. Il cibo può essere percepito dall’individuo attraverso l’utilizzo di tutti e cinque i sensi: ha un odore, un colore, un gusto, un aspetto e un suono. Non si limita ad essere un semplice oggetto della pratica alimentare ma assume dimensioni soggettive che derivano dal contesto culturale. Se lo pensiamo all’interno di un’esperienza migratoria, il valore del cibo del paese d’origine assume un significato di esperienza sensoriale che attraversa i confini dello spazio e del tempo, riportando a luoghi e a momenti familiari, a un’identità individuale e collettiva che in contesti come quello migratorio perde la sua forza nella quotidianità di una vita da espatriato.
Il valore evocativo individuale che una determinata pietanza possiede in relazione a chi la consuma ha connessioni dirette con il concetto di nostalgia. Oltre al gusto, esprimono significato le modalità di preparazione e di consumo: le cerimonie del tè nei paesi asiatici così come in quelli mediorientali, il caffè espresso al bar in Italia, piuttosto che il pranzo della domenica, sono tutti esempi del forte connotato simbolico veicolato dal cibo. Preparare e offrire da mangiare in una comunità espatriata crea uno spazio ed un tempo altri: non ci si trova più nel nuovo paese ma in una proiezione temporanea del proprio in cui ci si sente in un ambiente familiare².
Le molte funzioni del cibo nei contesti d’espatrio
Secondo un lavoro prodotto dal Centro Interculturale della Città di Torino³, il cibo in contesti d’espatrio assolve molteplici funzioni.
In alcuni casi rappresenta una forma di cura. Mediante esso si dimostrano l’affetto e l’attaccamento alle persone così come ai contesti d’origine e d’arrivo. Con il cibo si coccolano non solo gli altri, ma anche se stessi, i propri ricordi e il proprio senso di appartenenza.
Pensando invece alla rielaborazione delle ricette tradizionali nei nuovi contesti, il valore del cibo risulta come un veicolo di processi di integrazione culturale, i quali possono fungere da acceleratore di inclusione su altri aspetti della propria vita. Ci fa avvicinare a realtà diverse dalle nostre, riuscendo a mescolare e a modificare i gusti e le tradizioni.
“[I cibi]… ci fanno conoscere l’alterità senza paura delle differenze, anzi la curiosità per i gusti altrui fa parte del piacere della scoperta. Il cibo è aggregazione, stare insieme a tavola fa parte della costruzione dei legami affettivi e amicali. Anche così si supera la diffidenza e la paura della differenza dell’altro.”
Per alcuni può rappresentare anche un’occasione di lavoro e di emancipazione, mettendo a disposizione e facendo fruttare le proprie esperienze e competenze in campo culinario, condividendole e presentandole in un nuovo contesto.
Un’altra funzione è quella della risoluzione del sentimento della nostalgia. Il ricordo degli odori e dei gusti abbandonati nel contesto d’origine genera momenti di nostalgia in cui si rimpiange ciò che si è lasciato. Cucinare e consumare il cibo del proprio passato serve a sostenere il senso di mancanza. Tuttavia anche questo tipo di esperienza rievocativa potrebbe avere una doppia valenza: si pensa di ritrovare i sapori di casa, ma spesso la nostra identità si modifica nel corso dell’espatrio e con essa anche le proprie pratiche alimentari. Le vecchie abitudini vengono sostituite da altre più funzionali al nuovo stile di vita, con il quale riusciamo a identificarci, considerando noi stessi membri attivi della nuova comunità. In questi caso non è raro l’instaurarsi di un attaccamento più forte verso la nostra nuova abitudine rispetto a quella tradizionale.
Mangiando, si entra in contatto e ci si appropria della realtà attraverso la totalità dei sensi e, se l’essere umano si forma attraverso il dare significato a ciò che percepisce, allora il valore del cibo e mangiare vogliono dire partecipare alla vita sociale, condividere preferenze e differenze, costruire e mutare la propria identità in funzione dell’interazione con il mondo esterno. Nei percorsi migratori questo ha ancora più valore poiché i cambiamenti possono essere molteplici e il cibo diventa una metafora di integrazione e appartenenza sulla quale sperimentare le relazioni tra il vecchio e il nuovo⁴.
Come strumento di riappropriazione di identità, il cibo getta un ponte verso la propria terra, i propri affetti, i propri luoghi e il proprio passato, tuttavia è un ponte che guarda anche verso il futuro, verso l’altro e il diverso, riuscendo non solo a modellare la propria identità individuale ma anche quella sociale e culturale entro le quali queste trasformazioni avvengono, riuscendo a sentirsi parte di una comunità che è in grado di accoglierci, proteggerci e dotarci di identità ⁵.
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Note e link esterni
Pravettoni, R. (2010). Il cibo come elemento di identità culturale nel processo migratorio.
Chambers, I. (1996). Paesaggi migratori: cultura e identità nell’epoca postcoloniale. Trad. A. Biavasco e V. Guani. Genova: Costa & Nolan, 1996.
Centro Interculturale Torino (2015). Il Cibo in Valigia. Storie di Migrazione e di Vita.
Horn, V. (2010). Assaporare la tradizione: Cibo, identitá e senso di appartenenza nella letteratura migrante. Revista de Italianística, (19-20), 155-175.
Di Renzo, E. (2014). Cibo, identità, migrazione: alcune riflessioni a margine dell’emigrazione italiana nel mondo. Fondazione Migrantes, Rapporto italiani nel mondo, Tau, Roma, 397-407.