L’importanza della Comunicazione Non Verbale nella Dimensione Interculturale: anche l’Occhio Vuole La Sua Parte

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comunicazione non verbale

La comunicazione è un’attività complessa e fa riferimento a molteplici dimensioni che danno forma a quelli che sono i segnali e i significati condivisi. La Comunicazione Non Verbale riguarda tutti gli aspetti di uno scambio comunicativo: al livello semantico della lingua parlata si aggiunge anche il linguaggio del corpo. All’interno di questo tipo di comunicazione sono compresi numerosi aspetti che spaziano dalle qualità della voce, alla postura, dalla mimica facciale all’abbigliamento.

Da anni all’interno della ricerca psicologica esiste un fervente dibattito sull’origine della Comunicazione Non Verbale e su quali siano i fattori in grado di determinarla. Originariamente la Comunicazione Non Verbale era vista come l’aspetto più spontaneo della comunicazione e, per questo, meno soggetta a forme di controllo volontario. Considerata come una sorta di linguaggio universale, si riteneva fosse il frutto dell’evoluzione della specie e definita da specifici processi nervosi.

Il primo oggetto di studio delle ricerche in questo campo riguardarono le espressioni facciali1. Darwin, ad esempio, sosteneva che le espressioni facciali fossero universali, il risultato dell’evoluzione della specie umana, quindi presenti in tutti i gruppi umani. Alcuni antropologi nello stesso periodo sostenevano che l’espressione non avesse componenti innate: è la cultura, tramite l’apprendimento, a determinare le forme dell’espressione della  Comunicazione Non Verbale.  A partire dagli anni ’70 del novecento, Paul Ekman, un psicologo statunitense, cominciò a formulare la Teoria Neuroculturale2, postulando l’esistenza di un programma nervoso specifico e universale per alcune emozioni di base. La differenza che si può riscontrare tra alcune culture non è data dal programma neuronale specifico, ma delle regole di esibizione che ciascuna cultura veicola. In questo senso, se all’interno di una cultura specifica come quella giapponese risulta sconveniente esibire pubblicamente la propria sofferenza, l’individuo, attenendosi alle regole di esibizione di quel preciso contesto tenderà ad inibire l’espressione di dolore in un ambiente pubblico; tuttavia, in un contesto privato avrà una esibizione del sentimento di dolore decisamente più marcata.

Dagli ultimi decenni del novecento a oggi, gli studi sulla Comunicazione Non Verbale si sono moltiplicati. Il crescente incontro tra individui, gruppi, società e culture differenti ha fortemente stimolato la ricerca di questo particolare aspetto della relazionalità. Le ultime prospettive scaturite da questa nuova attenzione sembrano confermare l’esistenza di specifiche strutture nervose e processi neurofisiologici universali all’intera specie umana; tuttavia, in questi processi sembrerebbe che la cultura giochi un ruolo rilevante nella misura in cui essa determina la modalità di espressione della comunicazione in funzione della situazione in cui questa si inserisce: Ogni cultura dispone di una sorta di “protocolli interattivi” che indicano come esprimere dissenso all’ interno di un colloquio di lavoro e come esperirlo in una conversazione tra partner, tra familiari, amici.

I segnali non verbali servono a generare e a sviluppare un’interazione con l’altro, trasmettono cioè informazioni fondamentali per mantenere la comunicazione e per interpretarla con esattezza. Come per le lingue parlate, la CNV si differenzia a seconda del contesto all’interno del quale è inserita.

In contesti d’espatrio siamo di fronte a un interlocutore che spesso non condivide il patrimonio linguistico del paese d’arrivo; allo stesso modo, i due interlocutori potrebbero disporre di “protocolli interattivi” non verbali che non coincidono. In casi come questo la comunicazione rischia di non essere efficace e il messaggio che si vorrebbe trasmettere ha una buona probabilità di non essere compreso. Spesso questo può rappresentare una barriera importante per lo sviluppo e la rigenerazione della propria vita sociale per chi sceglie di vivere altrove.

Imparare una nuova lingua non significa solamente apprendere le norme e che regolano la sua espressione verbale; occorre concentrarsi anche sulla sua componente non verbale, per comprendere e saper modulare la nostra espressione e quella altrui in funzione del contesto. La capacità di esprimerci è quella capacità che ci permette di stare all’interno delle interazioni, permette di comprendere e di far comprendere quello che sta succedendo mentre comunichiamo. La propria CNV è strettamente correlata al bagaglio culturale: l’abbigliamento parla di alcuni aspetti della propria identità, così come lo fanno la gestualità e la postura, la distanza tra gli interlocutori.

Nel riuscire a dare una risposta e una motivazione al comportamento dell’altro,  che ai nostri occhi potrebbe risultare inusuale e strano, allora si starebbe facendo un passo in avanti verso l’altra persona e la sua cultura; si assumerebbe una posizione di interesse verso l’altro, riconoscibile anche da un osservatore esterno. Questo tipo di approccio alla comunicazione favorisce e implementa la disponibilità dell’interlocutore a mantenere alta l’attenzione su di noi. Lo sviluppo di una tale competenza si rivela necessario nelle persone che decidono di espatriare inserendosi in un nuovo contesto linguistico e culturale.

Non si dovrebbe tuttavia parlare di un insegnamento della competenza comunicativa; la competenza non si può insegnare. La questione riguarderebbe piuttosto l’apprendimento di specifiche abilità che attribuiscano la giusta attenzione agli aspetti non verbali in contesti interculturali; strumenti che permettano di poter osservare, comprendere e infine sistematizzare i fenomeni che uno “straniero” potrà incontrare man mano che si inoltrerà nella scoperta della lingua e della cultura. Starà poi ad esso creare le mappe comunicative più adeguate per ogni relazione attraversata e vissuta.

Alcune semplici strategie per migliorare l’efficacia comunicativa in ambienti estranei alla propria cultura comprendono l’esibizione esplicita della volontà all’incontro: mostrare curiosità verso la nuova cultura e volontà di apprendere il nuovo linguaggio.

Allo stesso modo la capacità di esprimere il piacere dell’incontro attraverso il proprio corpo, evitando posture di chiusura come ad esempio ascoltare con le braccia conserte, può risultare un efficace mezzo espressivo non verbale.

Altrettanto importante sarà poi la capacità di coltivare il proprio spirito d’osservazione al fine di individuare “gli invarianti” del comportamento comunicativo di quella cultura e riconoscere quali sono invece gli aspetti che caratterizzano lo stile comunicativo dell’interlocutore da un punto di vista più individuale che culturale.

Nell’esperienza quotidiana di vita da expat è quindi importante allenare la vista e non solo l’udito della nuova lingua. Il nostro corpo ci parla, così come quello del nostro interlocutore: più diventiamo conoscitori di questo linguaggio, più benefici avremo nel contesto interculturale.

NOTE

  1. Darwin, C., & Prodger, P. (1998). The expression of the emotions in man and animals. Oxford University Press, USA.
  2. Ekman, P. (1973). Cross-cultural studies of facial expression. Darwin and facial expression: A century of research in review169222(1).