Che lo sviluppo tecnologico abbia migliorato la qualità delle nostre vite è indubbio. É chiaro come il sole: Internet è oggi una risorsa insostituibile.
Gli orizzonti di potenzialità a cui la digitalizzazione ci mette di fronte dovrebbero far sperare in un futuro roseo. Eppure, secondo un certo immaginario comune, all’(iper)sviluppo delle tecnologie si associano spesso scenari di devastazione e desolazione. Realtà distopiche in cui gli assetti politico-sociali sono rappresentati come drammatici.
A fare da co-protagonista alla pervasività della tecnologia è una razza umana la cui salute mentale è stata distrutta.
Isolamento sociale, nuove dipendenze, disturbi depressivi e da stress vengono spesso interpretati come un effetto dell’utilizzo massiccio di Internet e dei mezzi tecnologici. E’ davvero così?
Disturbi psichici, tecnologia, pandemia: una “crisi globale di salute mentale”
Sembra che la pandemia ci abbia offerto un assaggio di questo futuro angosciante. Lockdown e misure di distanziamento sociale hanno inevitabilmente portato all’accelerazione di processi già avviati legati all’utilizzo delle tecnologie digitali per stare insieme agli altri. In parallelo, il malessere psicologico generale è drammaticamente aumentato, ricalcando l’ondata pandemica del Covid-19 sul versante della salute mentale.
A essere maggiormente colpite, come suggeriscono le prime indagini (ANSA, 2021), sono le fasce di popolazione più vulnerabili. Fra queste, i/le giovani.
Ma in quale relazione si trovino, fra loro, questi differenti fenomeni, per la ricerca non è ancora possibile definirlo con sicurezza. Individuare nelle tecnologie il capro espiatorio sembra, però, una scelta da un lato intuitiva, dall’altro semplificante.
L’allerta deve certo mantenersi alta, così come il desiderio di indagare i processi in atto e gli sviluppi futuri sul benessere psicologico dei/delle più giovani in relazione alle tecnologie. Senza ricadere in semplificazioni, spiegazioni ingenue o dando per certi dei presunti nessi causali. Senza demonizzare l’utilizzo del web né adottare una prospettiva catastrofista a priori. Ma uno sguardo critico, questo sì, è indispensabile.
Techno enthusiasts vs technophobes
Da sempre l’atteggiamento nei confronti dell’online si presta ad alcune polarizzazioni. La complessità del web spinge a collocarsi, infatti, su posizioni che ne estremizzano la visione: Internet è totalmente buono oppure intrinsecamente cattivo. Lo si odia oppure lo si ama.
É un’operazione, quella della semplificazione in termini dicotomici, tipica della mente umana, naturale e con funzione adattiva. Ma può scotomizzare alcuni aspetti, non restituendo una visione lucida sul web in quanto contesto di vita (relativamente) nuovo.
La spaccatura entusiasti/fobici riguardo alle tecnologie di cui parla Buckingham, ostacola un dibattito più profondo sui significati psicologici che sottostanno al suo utilizzo. La complementarità delle posizioni, in questo caso, produce un’impasse, l’immobilità su un piano superficiale del discorso.
Le deformazioni interpretative applicate all’online si fanno ancora più evidenti quando l’attenzione si dirige verso i/le giovani.
Da una prospettiva adulto-centrica, alimentata dai media e parzialmente dal mondo della ricerca, ai/alle giovani si affibbiano differenti possibili identità, opposte e mutuamente escludentisi.
Vittime della rete o carnefici che trovano in Internet un nuovo spazio in cui mettere in atto condotte deplorevoli. Ma anche esperti utilizzatori del web, immuni ai suoi pericoli in virtù dell’appartenenza alla fantomatica generazione dei nativi digitali.
Si tratta di equivoci e stereotipi che non aiutano a comprendere il contesto di vita integrato tra online e offline a cui ragazzi/e appartengono.
É da questo livello di incomprensione e mancanza di conoscenza che emergono gli atteggiamenti polarizzati. Se non comprendiamo o non conosciamo qualcosa, tenderemo a fabbricarci ferree certezze nei confronti della dimensione che è oggetto di analisi. La nostra attenzione si focalizzerà solo sugli aspetti che confermano la nostra prospettiva. É un fenomeno cognitivo denominato, in psicologia, “bias di conferma”.
Giovani in rete
Rispetto al rapporto fra giovani e tecnologie digitali, il mondo adulto si pone, quindi, adottando una prospettiva che è a priori problematizzante. Come se Internet, fondamentalmente, corrompesse l’innocenza dei/delle suoi/sue giovani utenti.
A essere patologizzati sono certi comportamenti, che vengono confusi e fatti coincidere con i loro potenziali rischi ed effetti negativi. Postare la propria immagine sui social oppure chattare ininterrottamente con gli amici, sebbene possa sembrare anomalo per gli adulti, non è necessariamente sinonimo di disagio.
Certe condotte andrebbero meglio contestualizzate: Internet è per i giovani un ambiente in cui vivono, si relazionano, amano, crescono e sbagliano esattamente come nell’offline. Ed è per questa ragione che un atteggiamento eccessivamente protettivo o censurante potrebbe essere controproducente.
Per preadolescenti e adolescenti, Internet è un contesto dal quale non possono svincolarsi e del quale non sarebbe giusto privarli. É impossibile vivere al di fuori dell’ambiente “onlife”, e nessun ragazzo o ragazza, probabilmente, vorrebbe esserne escluso. E nemmeno sarebbe auspicabile, considerata l’importanza che rete e tecnologie ricoprono nelle loro (e nostre) esistenze.
Le preoccupazioni del mondo adulto, però, non emergono di punto in bianco. “I grandi” non hanno tutti i torti: è innegabile che in rete si annidino pericoli, che vanno conosciuti e riconosciuti.
Tra problematiche emerse in tempi più recenti, in concomitanza con la diffusione del web, e questioni preesistenti alla rete, Internet sembra aver aumentato la complessità di abuso, sfruttamento, disagio dei più giovani.
Proprio perché si tratta di un nuovo contesto di vita: una creatura figlia degli esseri umani che l’hanno creato, che dunque ne rispecchia le ambivalenze.
Online grooming, minacce alla privacy, online harassment, uso problematico, limitazione delle relazioni sociali, sextortion, revenge porn ecc.: sono tutti aspetti che necessitano di analisi e interventi ad hoc, che abbiano come target gli adolescenti e i loro adulti di riferimento.
L’impatto di Internet sulla salute mentale di ragazzi e ragazze
Un ambito piuttosto indagato riguarda, più nello specifico, gli effetti dei social network sulla salute mentale di ragazzi e ragazze. In particolare, a essere oggetto di attenzione è lo sviluppo di ansia e depressione nella popolazione giovanile. Che sembra essere incrementato, rispetto al passato, con il diffondersi dei social.
La tossicità di questi ambienti online consisterebbe, per esempio, nel mostrare continuamente immagini ideali, standard di perfezione irraggiungibili che promuoverebbero problematiche relative all’autostima.
Il confronto costante porterebbe all’adozione di uno sguardo feroce nei confronti del proprio corpo e, più in generale, della propria vita. Sembra esserci una relazione importante, infatti, tra la comparazione sociale attraverso i social e i sintomi depressivi.
A chi non è capitato di sentirsi inferiore scrollando la propria bacheca di Instagram e incappando in post che mostrano vite perfette? O di sentirsi tagliato fuori guardando le stories di amici e amiche che sembrano divertirsi un mondo senza di noi?
É un’esperienza tanto diffusa da avere un nome: FOMO, “Fear of Missing Out”, paura di essere esclusi, lasciati indietro.
Però, è più complicato di così: non si tratta di semplici relazione causali che da A portano inevitabilmente a B. Come sempre, in ambito psicologico, i nessi sono molteplici così come le variabili che mediano gli effetti. Si può parlare di correlazioni, che spesso sono oscure e necessitano di ulteriore analisi. A volte, gli stessi dati sono difficilmente interpretabili, ambigui … o celati.
É di metà settembre l’inchiesta del Wall Street Journal intitolata “The Facebook Files”. Una denuncia nei confronti della compagnia, che pare abbia tenuto nascosti, tra gli altri, i dati relativi ad alcune ricerche, condotte dai suoi scienziati, sugli effetti dei loro prodotti sulla salute psicologica dei/delle teenagers.
L’utilizzo di social network come Instagram tenderebbe a esacerbare problemi già esistenti e a farne emergere di nuovi. Per esempio, disturbi legati all’immagine corporea nelle ragazze. Ma anche ansia, depressione, pensieri suicidari.
L’importanza di educare al digitale
Gli occhi devono essere puntati sulle generazioni giovani e sulla loro necessità di imparare a destreggiarsi in un contesto psicologico, di vita quale è il web. Internet è uno spazio denso di significati che gli utenti devono poter gestire per la propria salute mentale.
L’etichetta di “nativo digitale” non è una pozione magica che rende utilizzatori consapevoli e che immunizza al “male” in cui si può incorrere online. Lo è, piuttosto, una forma di educazione al digitale che va al di là dell’acquisizione di competenze tecniche. E’, questa, una risorsa che possiamo e dobbiamo sfruttare ora, allargando il suo senso.
Fino a includervi il conseguimento della conoscenza di quegli aspetti psicologici degli ambienti online che modellano il comportamento umano in direzione sia positiva che negativa. Ne avevamo parlato anche in questa intervista a Sara Capecchi: educare al digitale, oggi, significa educare alla cittadinanza.
Nonostante quella di Internet sia una realtà che viviamo quotidianamente, che ci sembra di conoscere e saper gestire, in verità ne sappiamo pochissimo. Fatichiamo a orientarci nella sua apparente illimitatezza.
Ci fa paura, perché regole e leggi dell’online non sono ancora state scritte; sono in divenire, così come Internet stesso si trasforma rapidamente, inafferrabile. Non esistono forme di governance concordate a livello sovranazionale. Non esiste una figura autorevole a cui ricondurre la gestione della rete, che è universale, acentrica, ubiquitaria.
Internet è di tutti/e e di nessuno, con i pro e i contro che questa condizione comporta. Ma, pian piano, ci si sta muovendo nella direzione di regolamentazioni transnazionali che rendano Internet un ambiente maggiormente disciplinato e vivibile. É anche nostra responsabilità, come singoli cittadini e cittadine, contribuire a renderlo migliore agendo con coscienza.
Un primo atto di responsabilità è quello di ammettere che siamo alle prime armi. E che abbiamo bisogno di educarci per convivere al meglio in questa dimensione. Fin da piccoli e piccole.