Sono molteplici le motivazioni che spingono una persona a spostarsi altrove. Tra queste troviamo il desiderio di arricchire di nuovi aspetti la propria formazione e le proprie competenze o, ad esempio, la voglia di evadere da una situazione critica percepita come immutabile. Si potrebbe parlare di un non meglio precisabile desiderio del nuovo fino alla speranza di trovare un lavoro migliore e ben retribuito. In ognuna delle suddette motivazioni, anche se a livelli diversi, si può intravedere una forte componente volontaria nella scelta, e spesso questa conoscenza ci porta a pensare all’espatrio volontario come una soluzione a basso rischio e priva di ricadute sul nostro benessere proprio perché desiderata e voluta.
Ciò è vero solo in parte: se, infatti, è lecito sostenere che chi decide di trasferirsi perché in qualche modo costretto a trovare una via di fuga ha effettivamente maggiore difficoltà ad elaborare positivamente l’esperienza del distacco e dello sradicamento, anche chi espatria per trovare nuove motivazioni o stimoli può avere a che fare con disagi di carattere psicologico di varia tipologia e grado.
I disagi della migrazione
In questo articolo parleremo di un particolare tipo di disagio esperito, molto comune a chi vive sulla propria pelle esperienze di espatrio e migrazione: il senso di solitudine e di isolamento sociale durante la fase di insediamento nel nuovo contesto1.
È opportuno precisare che non tutte le persone che partono per trasferirsi altrove manifestano segni e sintomi di disagio, tuttavia il sentimento di solitudine risulta essere la più frequente condizione psicologica in questo particolare periodo e, in alcuni casi, può assumere caratteristiche di stampo depressivo e post-traumatico. La sensazione d‘isolamento provata in contesti migratori viene spesso descritta come un circolo vizioso che a volte risulta difficile da fronteggiare. All’aumento della solitudine si accompagna un crescente ricorso a comportamenti e atteggiamenti che portano le persone a chiudersi in loro stesse evitando contatti con gli altri e con l’esterno. Chi lavora può ridurre i suoi spostamenti al semplice tragitto casa-lavoro-casa; chi invece non lavora, e magari si è trasferito per seguire il proprio partner, si trova spesso ad affrontare sentimenti di inadeguatezza e insicurezza crescenti producendo forti cali della motivazione a reagire e spingendo la persona a rimanere intrappolata in un eterno presente. Può capitare che alcune persone decidano di intraprendere nuove attività (sport, hobby e passatempo) al fine di spezzare il meccanismo di solitudine che si autoalimenta. In linea di massima, questa strategia è da considerarsi in maniera positiva.
Tuttavia, se non accompagnata da un più profondo lavoro su sé stessi, rischia di fagocitare tutte le energie rimaste, portando a frequentare in maniera compulsiva ambienti sportivi e/o mondano per fuggire costantemente un senso di vuoto interiore che invece rimane più o meno latente, quando non peggiora con la stanchezza apportata proprio da un approccio intensivo alle pratiche di svago2.
Il senso di isolamento risulta connotare in maniera particolarmente tipica l’esperienza di quelle persone che vengono definite ‘trailing spouses’, persone (non necessariamente donne) che si sono trasferite per seguire il partner e sono state costrette a lasciare il lavoro e ad abbandonare o sospendere la propria carriera e i propri personali progetti di crescita. Questa tipologia di partner espatriato è una figura fondamentale per il successo globale del progetto d’espatrio familiare e individuale: il loro impegno e contributo al benessere emotivo, fisico e mentale facilitano l’adattamento dell’interno nucleo. Tuttavia, affinché i partner possano esercitare questa influenza positiva ed evitare l’isolamento devono essere rispettati alcuni requisiti, come ed esempio la possibilità di mantenere il senso di identità e l’autostima alti, attraverso un’eventuale prosecuzione delle proprie carriere e/o il mantenimento delle vecchie reti di supporto sociale, e favorire la creazione di nuovi legami3.
Consigli di comportamento
Anche se la percezione di immobilismo risulta essere un aspetto presente nell’esperienza migratoria di molti, esistono alcuni accorgimenti che permettono di rendere meno difficoltoso l’adattamento al nuovo contesto operando proprio sull’eliminazione o sul decremento di quelle sensazioni di isolamento che alimentano le condotte di auto-isolamento sociale.
Se da un lato è importante lavorare in senso progettuale, dandosi cioè degli obiettivi professionali e personali realisticamente perseguibili a breve e medio termine, dall’altro è altrettanto fondamentale che si cominci con l’affrontare un problema alla volta, evitando di sovraccaricare il proprio fisico e la propria mente con annose questioni che non troveranno mai lo spazio per essere affrontate in contemporanea.
Un altro consiglio molto utile sta nell’impegnarsi ad imparare velocemente la nuova lingua e le rispettive peculiarità mimiche e gestuali. Sarebbe meglio, in questo caso, arrivare con già un buon bagaglio linguistico acquisito prima della partenza in modo da concentrarsi sin da subito sul rafforzamento della capacità di esprimere e percepire in maniera adeguata lo spettro emotivo nel nuovo contesto.
Comprendere e saper esprimere i propri stati d’animo risulta essere un aspetto fondamentale per un adattamento sano al nuovo contesto sociale. Ciò permette di riappropriarsi di un’identità emotiva che altrimenti resta sospesa nella traduzione tra vecchio e nuovo contesto.
Anche se può sembrare banale, un buon metodo per uscire dall’isolamento è proprio uscire dall’isolamento sociale. Evitare i momenti di autocommiserazione, non piangersi addosso per via della solitudine e cominciare a ricercare l’Altro: fare in modo di essere invitati a fare qualcosa e costruire le situazioni che diano a se stessi la possibilità di invitare gli altri nella propria casa, nei propri piaceri, nella propria vita.
Cercare connessioni speciali
Come molti expat affermano nel raccontare la propria esperienza, non basta socializzare a livello superficiale, ma bisogna rispondere al bisogno di trovare una connessione con le persone speciali, qualcuno che comprenda e che sia interessato a capire cosa si sta provando, qualcuno con cui sviluppare un sentimento d’appartenenza reciproco. Sono proprio queste relazioni di profondo contatto con l’Altro ad essere poste al centro della sensazione di vuoto che caratterizza il periodo d’insediamento e l’assottigliarsi della rete di sostegno è spesso indicato come uno dei fattori scatenanti vissuti di solitudine e abbandono tipici delle traiettorie migratorie.
È importante circondarsi di cose e situazioni che ci fanno stare bene: coltivare i propri interessi, riprendendo sì quelli di sempre, ma cercando anche nuovi stimoli che possano permettere di proiettarsi nel futuro. Non dimenticarsi di quali sono gli obiettivi che hanno portato a fare la scelta di partire e capire se e perché i vantaggi permangono superiori agli svantaggi. Un’ultima accortezza è tenere a mente che il posto da cui siamo partiti continua ad esistere ed un eventuale ritorno non solo è possibile, ma non deve essere visto come una sconfitta del progetto o peggio ancora personale.
Questi sono tutti consigli validi e che dimostrano una certa efficacia per superare particolari difficoltà legati all’isolamento sociale e psicologico. Rimane tuttavia di estrema importanza non trascurare la persistenza di questi vissuti. Una loro cronicizzazione potrebbe portare a sviluppare stati depressivi di difficile recupero e potrebbe tingere l’esperienza d’espatrio di una pervasiva tonalità d’insoddisfazione per quello che si sta facendo e per quello che si è diventati. In questi casi è da ritenersi opportuno pensare ad un approccio più strutturato al problema contattando persone qualificate in ambito psicologico che siano in grado di garantire una presa in carico della situazione di tipo professionale.
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NOTE
- Molti sono gli studi che confermano la frequenza del senso di solitudine e isolamento esperiti dagli expat. All’interno di un panorama talmente vasto in questa sede è stato fatto riferimento ai seguenti studi.
- Di Girolamo, Pisterzi, Bianchi, Druetta, Gullo (2018) Online Psychotherapy for Expat. An exploratory study, relazione di ricerca presentata al 21° congresso della Society for Psychotherapy Research, Palermo, 4-5-6 ottobre 201.
- Yamazaki, Y., & Kayes, D. C. (2004). An experiential approach to cross-cultural learning: A review and integration of competencies for successful expatriate adaptation. Academy of Management Learning & Education, 3(4), 362-379.
- Si segnala a riguardo un interessante report di un gruppo di discussione tra expat svoltosi online con expat di vari paesi sui temi di solitudine ed isolamento. A seguito il link: https://www.expatclic.com/solitudine-e-isolamento-in-espatrio/
- Chen, Y. P., & Shaffer, M. (2018). The influence of expatriate spouses’ coping strategies on expatriate and spouse adjustment: An interdependence perspective. Journal of Global Mobility: The Home of Expatriate Management Research, 6(1), 20-39.