“Love me tender, love me sweet, never let me go”. “Amami teneramente, amami dolcemente, non lasciarmi mai andar via”, cantava la voce profonda e carezzevole di Elvis the Pelvis. Quello che ciascun* di noi vorrebbe sentirsi dire all’orecchio ogni giorno. Soprattutto a San Valentino. O magari no.
Sì, perché il fatto è che il linguaggio delle relazioni “amorose” (e delle interazioni) è cambiato. Così come si è modificato il modo stesso di definire una relazione… “relazione”.
Siamo oggi ben oltre il concetto di amore romantico, eterosessuale, in cui uomo e donna sono inchiodati in ruoli di genere rigidamente definiti. Se le relazioni sono sempre state un gran casino, oggi certamente ci sono degli elementi che vanno ad aumentare questa complessità. Ma che, credo, ci permettono di vivere questi stessi legami più liberamente.
Un commento di Lancini, nel corso di un’intervista a proposito della serie HBO “We are who we are”, inquadra questa realtà fluida. “Oggi i comportamenti sono cambiati” e le scelte, rispetto a relazioni e sessualità, sono individuali”. Riprendendo il titolo della serie diretta da Guadagnino, abbiamo molte più possibilità di “essere ciò che siamo”. Di volere e ottenere, dalle relazioni, ciò che desideriamo realmente, in quel momento.
C’è sempre lo zampino della tecnologia
In questa metamorfosi del nostro mondo relazionale non possiamo non riconoscere il ruolo fondamentale di Internet. Il celebre ritornello di Elvis, oggi, lo potremmo trasformare in “Love me Tinder, love me…etc”. Dove all’eccetera possiamo far seguire ciò che più ci piace, ciò che vogliamo dall’app di relazione o dalla relazione stessa.
Ci sono oggi, in Internet, strumenti che ci permettono, appunto, di ottimizzare e targetizzare le nostre ricerche anche in questo ambito. Che, detta così, suona di una freddezza abbastanza sconfortante. Ma non per forza. Tra questi strumenti, per esempio, ci sono le dating apps, le apps per incontri.
Che quello delle dating apps non sia un mondo irrimediabilmente cinico e nichilista ce lo dice una piccola indagine sul rapporto tra nuove tecnologie e relazioni, condotta dalla redazione di Transiti.
Attraverso un questionario, abbiamo dato un’occhiata all’utilizzo di Tinder o altre apps da parte di un piccolo campione di partecipanti. Non intende essere un’analisi rappresentativa di grandi numeri e non vogliamo generalizzare. Però, alcune risposte sono molto interessanti e ci danno spunti per riflessioni e ricerche future.
Un po’ più della metà de* nostr* intervistat* si riconosce nel genere femminile, il restante 47% in quello maschile. Hanno un’età compresa tra i 23 e i 44 anni. Sono tutti/e nati/e in Italia; alcuni/e ci sono rimasti/e, altri/e sono migrati/e all’estero, in particolare nel Regno Unito.
Ecco che cosa abbiamo scoperto.
Tinder, la regina, e le altre apps più utilizzate
Tinder, app in cima alla lista. Poi Grindr, Meetic, Hinge, Romeo, Facebook Dating, Recon e Hornet sono quelle menzionate da chi ha partecipato alla nostra indagine.
Probabilmente la più conosciuta: Tinder, app nata nel 2012 che può vantare una serie di primati e di numeri piuttosto impressionanti. E’ stata scaricata più di 340 milioni di volte, è disponibile in 190 paesi e in più di 40 lingue e ha condotto a più di 60 bilioni di “matches”.
“Match” e “swipe” sono i termini-chiave del suo funzionamento. Lo “swipe” è il movimento di “strisciata” che l’utente utilizza per esprimere apprezzamento (verso destra) o disinteresse (verso sinistra) nei confronti di un profilo. Un meccanismo velocissimo, estremamente semplice (per chi sa distinguere tra destra e sinistra).
Un piccolo gesto per esprimere qualcosa dietro a cui, se non c’è di mezzo la tecnologia, spesso si celano meditazioni e rimugii. E anche più di un mal di pancia e di una notte insonne.
Questa modalità di esprimere interesse può sembrare piuttosto cinica. Ma forse è proprio a questa immediatezza nella valutazione, riservata ad aspetti da cui, nell’offline, dipende la nostra sopravvivenza, che si deve il successo di Tinder.
Uno dei fondatori dell’applicazione, Sean Rad, ha dichiarato che l’idea alla base è che “non importa chi sei, ci si sente più a proprio agio quando ci si avvicina a qualcuno se sai che loro vogliono che sia tu ad approcciare loro“. Insomma, forse Rad era un tipo molto impegnato, a cui non piaceva perdere tempo procedendo per prove ed errori, in termini di relazioni. Ma a cui piaceva sprecarlo per costruire complesse perifrasi.
Tinder, app che avvicina i profili delle persone sulla base della geolocalizzazione, delle preferenze, della fascia d’età. Se il nostro “swipe” a destra è corrisposto, avviene il “match”: scocca la scintilla. O, perlomeno, si acquisisce consapevolezza che si prova interesse reciproco. E già un grandissimo e faticoso passo di avvicinamento è stato compiuto.
“Nuove” leggi dell’attrazione
Ma cosa si nasconde dietro a uno swipe? Qual è il motore che motiva a dimostrare il proprio interesse all’altr*? Su cosa si basano le scelte?
I/le nostri/e rispondenti annoverano diversi elementi decisivi per lo swipe. Su tutti, vince l’aspetto fisico. E’ superficialità?
Non proprio. La scienza ci dice che, per esigenze evolutive, scegliamo chi, attraverso l’aspetto esteriore, ci sembra possa contribuire al successo riproduttivo della specie. Non ci prestiamo caso, ma questa reminiscenza influenza ancora, a livello inconscio, le nostre decisioni. Anche offline, dunque, siamo piuttosto insensibili e attent* all’efficienza.
A contare, poi, è la descrizione biografica fornita dall’utente: in particolare hobbies e interessi, oppure il modo di porsi. Qualcuno cita l’età, altr* il lavoro.
Qualcuno nomina anche “il primo impatto”: una sensazione a pelle, una risposta di tipo prevalentemente emotivo nella quale non è possibile identificare i fattori predominanti. Quasi a pari merito con l’aspetto estetico, a orientare le scelte online sono altre ragioni di tipo pragmatico: velocità, prossimità, praticità, ricerca locale.
Effettivamente, anche se non si tratta di aspetti consapevoli, queste variabili sembrano promuovere l’attrazione anche offline. Più ci viene sottoposto uno stimolo, maggiore è la probabilità di apprezzarlo (Kawakami e Yoshida, 2014). Più volte incrociamo una persona e più è probabile che ci piaccia. Più siamo simili e più è semplice innamorarsi. Più sappiamo di piacere all’altr* e più anche l’altr* ci piace.
Come evolvono le relazioni online
Abbiamo domandato se i contatti tramite dating apps si siano mai trasformati in incontri faccia a faccia. Più del 94% ha risposto affermativamente e più della metà de* intervistat* ci ha detto che l’incontro offline accade dopo meno di una settimana. Nessuno va oltre il mese di attesa.
Rispetto alle possibili evoluzioni delle conoscenze che nascono in rete, il nostro campione sembra essere ottimista. Quasi la totalità de* intervistat* crede sia possibile instaurare con le app relazioni stabili e importanti quanto quelle offline. E sono in molt* a pensare che si possano stringere legami anche più significativi e duraturi.
Lo pensa anche chi, finora, non ha ancora vissuto rapporti a questo livello d’intimità nel corso della propria esperienza con le dating apps.
E’ un dato che fa riflettere su un pregiudizio che, forse, si sta gradualmente indebolendo. Secondo il pensiero comune, ciò che nasce online sarebbe destinato ad avere meno valore rispetto a ciò che mette radici dal vivo. Come se l’online fosse una dimensione virtuale, nel senso intrinsecamente negativo del termine. Nel senso che “virtuale” corrisponderebbe a “meno reale”, “finto”.
L’uso delle tecnologie invece può avere, oggi, una sua profondità. Non per forza, nel digitale, si assiste a uno svuotamento di valori della relazione. Online cambiano i processi, mutano i significati, per esempio quello di “presenza”, o quello di “vicinanza”. Qualcuno parla di “e-intimacy” (Weinberg, 2014), altri di “intimità digitali” (Boccia-Artieri, 2009; Scarcelli, 2015). Cambia il nostro sentire e sentirci, ma di fronte agli schermi ci siamo noi, in carne e ossa. Cambia il nostro modo di stare al mondo, ma la nostra umanità è preservata in qualunque ambito dell’esistenza ci muoviamo.
Dating apps e pillole di psicologia
Gli aspetti più interessanti emersi dalla nostra modesta indagine riguardano l’esplorazione di alcuni risvolti psicologici che si celano dietro all’utilizzo di app di relazioni. Abbiamo posto qualche domanda che potesse suggerirci, in termini emotivi, affettivi, motivazionali, a quali bisogni le apps danno risposta.
“Conoscere nuove persone”,“conoscere persone il più lontano possibile”, “eventualmente iniziare una relazione”. “Non ho un obiettivo specifico”,“per noia”, “divertirmi”, “per avere più followers su Instagram”. “Incontrare”, “uscire”, “sesso occasionale”. Sono queste le parole che abbiamo raccolto rispetto alle finalità nell’utilizzo di Tinder. E sono parole importanti, con un peso specifico. Che indicano scopi anche molto diversi tra loro. E anche in questo caso, viene da dire che le risposte di chi effettivamente utilizza questi canali smentiscono dei luoghi comuni.
Per esempio, quello secondo cui “ci si fa Tinder app solo per scopare”. A dir la verità, il sesso è molto poco presente nelle risposte dei nostr* partecipanti. Credo che, invece, queste parole facciano trasparire un desiderio di costruire relazioni online non per forza sessualizzate. E che, in ogni caso, anche se si tratta di rapporti occasionali, non per forza sono “sbagliati”.
Però, non è solo il sesso che si cerca online. Le app di relazioni sembrano rispondere ad altri bisogni.
Ma a quali?
Il nostro campione si spacca. Poco meno della metà afferma che le dating apps sono mezzi per rispondere alle proprie personali esigenze in termini relazionali. Abbiamo poi chiesto di spiegare quali fossero queste necessità.
“Conoscere una persona anche non essendo pronta a vederla subito dal vivo, e ‘scremare’ in base a preferenze”. Qualcuno risponde che incentivano a spingersi fuori dalla comfort zone, perché “quando si lavora e si ha già un ‘giro’ di amici non è facile fare conoscenze completamente nuove”.
Ma anche “raggiungere un maggior numero di persone”. Per qualcun*, Tinder risponde a un bisogno di evasione: “Stare il meno possibile a ripensare al passato”.
Sono un po’ di più quell* che rispondono che no, non pensano che le app di relazioni siano mezzi per rispondere a esigenze personali in termini di interazioni. E questo apre a tutta una serie di riflessioni. Su molti aspetti.
Su cosa intenda, ciascuno, per esigenza relazionale, per esempio. Sul perché delle apps nate per favorire l’incontro sembrano non essere efficaci nel rispondere, per alcuni, proprio a bisogni di questa natura. Però, quasi tutt* quell* che hanno risposto al questionario, si dicono soddisfatti delle apps che utilizzano. Indagare sul perché continuino a usarle e per rispondere a quali necessità, se non quelle relazionali, è un aspetto intrigante, che meriterebbe di essere approfondito.
Conoscermi/ti
Soprattutto ultimamente, sembra che creare un profilo su Tinder sia davvero una tendenza irrinunciabile. E, spesso, oggetto dei discorsi tra amic*. Chiacchierando con alcun* di loro, mi sono fatta quest’idea. Che le app per relazioni siano utili non solo per conoscere altre persone, ma anche per capire un po’ di più se stessi. Che, forse, è qualcosa di cui in questo momento storico abbiamo molto bisogno.
Un’amica mi ha detto: “Scorrendo i profili ho imparato a chiedermi: che cosa cerco davvero? E perché lo cerco? Che cosa ho di interessante da mostrare agli altri? Potendo scegliere, cosa decido di fargli conoscere di me?”. Anche su queste implicazioni psicologiche dell’utilizzo delle apps sarebbe molto interessante soffermarsi.
Cosa ci piace. Cosa no. Cosa ci attrae. Cosa ci fa allontanare. Cosa desideriamo?
Interrogarsi sul desiderio è sempre qualcosa di importante. Non solo il 14 febbraio: riconoscere il desiderio in quanto spinta vitale ci dà una consapevolezza che ci arricchisce ogni giorno dell’anno. Riconoscerci e accettarci in quanto esseri desideranti, è una verità preziosa. Anche se, per raggiungerla, utilizziamo strumenti come le app di dating.
Insomma, l’importante è: “love me Tinder, love me true”.
Per approfondire
Kawakami, N., & Yoshida, F. (2015). How do implicit effects of subliminal mere exposure become explicit? Mediating effects of social interaction. Social Influence, 10(1), 43–54. https://doi.org/10.1080/15534510.2014.901245
Scarcelli, C. M. (2015). Intimità digitali. Adolescenti, amore e sessualità ai tempi di Internet. Milano: FrancoAngeli.Weinberg, H., & Rolnick, A. (2020). Theory and Practice of Online Therapy. Londra: Routledge Editore.
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