Nella parte centrale dello stato del Chiapas, in Messico, sorge il municipio di Altamirano: un capoluogo urbano circondato da un vasta area rurale che ospita da sempre numerose comunità, molte delle quali a maggioranza indigena.
Qui esiste un progetto di psicologia comunitaria sostenuto e portato avanti da Psicologi nel mondo – Torino, un’organizzazione di volontariato che lavora in Messico e nel mondo in rete con altre associazioni impegnate sui temi della psicologia dell’emergenza, del sostegno a migranti, richiedenti asilo e rifugiati, della tutela dei diritti umani e della cooperazione con approccio transculturale.
Anna Tibaldi e Marisol Finazzi, entrambe volontarie dell’associazione, ci raccontano la propria esperienza di volontariato e l’evoluzione del progetto nel corso degli anni.
Rispondere ai bisogni della comunità
Tutto ha inizio nel 2015, quando l’area di Altamirano viene segnalata ai soci dell’associazione Psicologi nel mondo – Torino da un referente locale.
In questa zona infatti, era presente da un paio di decenni una struttura ospedaliera, costruita negli anni ‘70, grazie a un progetto di cooperazione della fondazione olandese Shumacher per garantire il diritto alla salute in una zona carente dal punto di vista dei servizi sanitari.
Il personale medico dell’ospedale segnalava da tempo un aumento di problematiche legate alla salute mentale di pazienti: in generale sintomi riconducibili all’ansia e depressione, oltre all’aumento del tasso di suicidio tra i giovani della regione.
“Nel 2015 l’associazione Psicologi nel mondo ha iniziato a fare delle valutazioni sulle problematiche legate alla salute mentale della gente Altamirano, una popolazione che nel corso della storia si è sentita più volte ‘cancellata’ dal governo messicano.
L’esigenza arrivava dal basso ed era presente soprattutto tra le comunità rurali, che vivono in un contesto di ulteriore isolamento.
Il progetto è quindi partito, lentamente, grazie al supporto dell’ospedale e della parrocchia locale, rappresentata da due preti indigeni che avevano molto a cuore le problematiche della comunità.
Prima di tutto era necessario conoscere meglio la realtà dei quartieri e delle comunità rurali, ma anche permettere agli abitanti e soprattutto ai leader comunitari di conoscere il nostro team. Una volta fatto questo, siamo tornati nel 2016 per far partire le prime attività” e iniziare a lavorare in Messico.
Il perché della psicologia comunitaria
Il progetto ha preso piede lentamente, in quanto gli psicologi dell’associazione sono volontari e generalmente vengono per lavorare in Messico soltanto durante i due mesi estivi.
“Inizialmente si trattava di sensibilizzare la popolazione sui temi della salute mentale, focalizzandosi sui bisogni da loro espressi e sulle problematiche connesse alla depressione, al suicidio giovanile, all’alcolismo e alla violenza domestica, oppure con incontri mirati alla risoluzione dei conflitti” spiegano.
Pianificare interventi di psicologia comunitaria infatti, organizzati in gruppi di confronto sulla base di precise tematiche o esigenze, in alcune aree del mondo è sicuramente più efficace rispetto alla terapia individuale.
“In queste aree del Chiapas, la percezione del benessere e della salute mentale assumono una dimensione più collettiva e meno individuale rispetto all’Italia.
Lì le persone pensano in comunità e agiscono in comunità: anche la decisione di lavorare con la nostra associazione sono state prese a livello comunitario.
Quello della psicologia comunitaria, contaminata anche con pratiche di psicologia d’emergenza e transculturale, è quindi l’approccio naturalmente più adatto a questo contesto.
Oltre agli incontri che coinvolgono piccoli gruppi intorno a tematiche specifiche, abbiamo anche avviato un laboratorio legato al recupero e alla tutela della memoria collettiva, con la collaborazione di un antropologo.
Si tratta di organizzare incontri a cui partecipano generalmente persone anziane che ricordano le origini e lo sviluppo del centro urbano e delle comunità rurale, con lo scopo di ricostruire la storia e raccontarla ai più giovani.
Esiste anche uno sportello di ascolto individuale, partito in un secondo tempo e che coinvolge molte meno persone rispetto alle attività di gruppo: per molti abitanti di Altamirano infatti, il fatto di ‘andare, singolarmente, dallo psicologo’ rappresenta una novità e una scelta inusuale.
Tuttavia, non mancano le persone che chiedono supporto allo sportello individuale, e generalmente lo hanno fatto dietro consiglio del prete o del ‘curandero’ di riferimento”.
Una comunità in continuo cambiamento
“Da parte nostra l’osservazione del luogo è continua e costante. Ci siamo pian piano avvicinate alla visione del mondo indigena, indagando su concetti come il Mal de Tierra (in relazione all’armonia dell’uomo con la natura) e dell’importanza della memoria collettiva.
Nel 2020, a causa della pandemia, raggiungere e lavorare in Messico non è stato possibile, ma fortunatamente, nel 2019 abbiamo formato e introdotto due psicologhe locali, che hanno continuato le attività e gli incontri con i gruppi anche durante l’anno per poter dare continuità al progetto.
Abbiamo continuato a monitorare la situazione attraverso incontri a distanza, soprattutto per cercare di captare i cambiamenti portati dalla pandemia, come le conseguenze portate dalla chiusura delle scuole (che non hanno ancora riaperto), ma anche per sostenerci a vicenda e vedere le differenze tra la nostra esperienza pandemica in Italia e quella del Chiapas.
Ritornare a lavorare in Messico a due anni di distanza dall’ultima missione è stato fondamentale per comprendere meglio come le comunità avevano vissuto il periodo di pandemia. Nonostante il contatto a distanza, avere un quadro chiaro di cosa accadeva complessivamente era difficile: chi vive nelle aree più distanti dal centro urbano infatti, non sempre ha accesso a internet.
La missione estiva del 2021 ci ha viste meno impegnate negli incontri di gruppo, ormai ben avviati dalle psicologhe locali, ma più focalizzate nelle relazioni con gli attori locali, e nella pianificazione delle direttive future sulla base delle nuove esigenze delle comunità.
Dobbiamo ammettere che, dopo quasi due anni di Covid, pensavamo di trovare una situazione più caotica.
Abbiamo invece trovato un clima di maggiore positività e una forza collettiva più in grado di affrontare e uscire da un periodo non semplice.
In realtà, per loro la pandemia è stata messo sullo stesso piano delle altre difficoltà della vita: il rischio di contagio preoccupa esattamente come la mancanza di lavoro o la paura di ammalarsi di qualsiasi malattia e non avere in quel momento il denaro necessario per farsi curare”.
Un’esperienza che forma, e che ti cambia dentro
“Concentrare tutto il lavoro da svolgere nei soli mesi estivi equivale a lavorare intensamente e continuamente, oltre ad essere coinvolte al 100% nella dinamica e nei problemi della comunità.
Gli incontri di gruppo inoltre, che fanno emergere ‘potenti dinamiche’ tra i partecipanti, sono sostenuti generalmente da almeno due psicoterapeuti, per far sì che, se un membro del gruppo prova un’emozione troppo dolorosa, può allontanarsi con il supporto di una dei due”.
La domanda sorge quindi spontanea: potrebbe essere utile una presenza più costante da parte dei volontari di Psicologi nel mondo – Torino?
“Prima della pandemia mi è stato proposto di fermarmi più a lungo ma per motivi professionali e personali purtroppo non ho potuto accettare” ammette Anna Tibaldi.
“Non nego di pensarci spesso perché è un’esperienza che mi dà tanto, quindi è una possibilità che non escludo assolutamente per il futuro.
Trascorrere un anno intero e lavorare in Messico ad Altamirano sarebbe davvero utile, potrei osservare la vita della comunità e l’evoluzione delle dinamiche sociali.
Essere presenti nel periodo in cui i bambini vanno a scuola, ad esempio, mi aiuterebbe a conoscere meglio il sistema educativo perché quando andiamo lì le scuole sono chiuse per la pausa estiva”.
Inoltre, lavorare in un progetto di psicologia comunitaria in un contesto socio-culturale totalmente differente richiede una formazione personale, un periodo di ricerca sul campo e soprattutto un’attitudine personale propensa all’incontro/scontro con l’alterità.
“Si tratta di un’esperienza che mette in gioco tante cose nella nostra mente, come persone e che psicologhe” spiega Marisol Finazzi.
“Devi conoscere le regole locali, sapere come comportarti: l’incontro con una cultura diversa mette in crisi i nostri modelli di approccio.
Nessuna scuola di specializzazione ti prepara ad affrontare contesti così differenti, ti dà solo gli strumenti ma poi devi formarti sul campo.
Per questo motivo quando siamo lì ci colleghiamo periodicamente con gli altri membri dell’associazione a distanza, alcuni di loro collaborano in altri progetti: è molto utile perché ci aiuta spesso ad avere un punto di vista esterno sulle differenti situazioni che ci troviamo ad affrontare e ci aiuta ad elaborare quello che stiamo vivendo.
Dopo ogni missione, prima di tornare in Italia, trascorriamo qualche giorno a San Cristobal de Las Casas, una delle maggiori città del Chiapas.
Per noi si tratta di un momento che rappresenta una sorta di passaggio, un luogo neutro che ‘attutisce il colpo’ prima di tornare alla nostra realtà.
Perché dopo due mesi ad Altamirano ci troviamo sempre a fare i conti con nuovi ‘pezzi’ di noi stesse, come persone e come professioniste.
Ogni volta che torni a casa senti di aver fatto un percorso del tutto nuovo, e di essere una persona diversa”.