Nella definizione del vocabolario Treccani, il significato di “nostalgia” corrisponde al “Desiderio acuto di tornare a vivere in un luogo che è stato di soggiorno abituale e che ora è lontano.”
E’ curioso notare come il termine abbia a che fare, nello specifico, con i luoghi.
Luoghi che sono punti individuabili sulle cartine geografiche, a cui corrispondono anche spazi a noi interni, che arrediamo con ricordi custoditi con cura. Luoghi significativi, perché è lì che si collocano le nostre radici.
Per chi espatria, il tema delle radici è sempre in qualche modo presente e, con esso, il vissuto di nostalgia. Talvolta non ce ne accorgiamo: anche se il nostro luogo di origine non è nei nostri pensieri in maniera consapevole, il suo ricordo ci arriva attraverso le sensazioni. Nella memoria costruita a proposito di un luogo, le sensazioni ne costituiscono i mattoni, e i sensi sono canali privilegiati per la riattivazione di quei ricordi: basta un odore, un sapore, un colore per aprire strade di pensabilità.
La nostalgia è un’entità di difficile collocazione: sfugge, scappa a definizioni precise. Si tratta di un’emozione complessa (talvolta classificata anche come emozione secondaria) che si tinge di sfumature differenti. Ha una natura ossimorica, che avvicina gli opposti. E’ dolcemente affilata, dolorosa ma affascinante, suggestiva.
La nostalgia non può che essere raccontata attraverso un registro metaforico, allusivo, evocativo: è approssimativa, così come l’oggetto del sentimento nostalgico è soggettivo. Non a caso, gli immaginari legati alla nostalgia sviluppati dal mondo letterario e artistico sono molteplici, mentre è una tematica poco studiata dal punto di vista della ricerca scientifica.
Settembre, mese in cui l’estate assume le sembianze del ricordo pur senza essersi ancora conclusa, mese di finali e di inizi, di malinconie e (ri)partenze, ci sembra il momento giusto per tentare l’impresa: inquadrare il significato di nostalgia con un certo rigore scientifico.
Breve storia della nostalgia
Sebbene la fuggevolezza costituisca una parte intrinseca e ineliminabile della nostalgia, per comprendere il suo significato, per tentare di afferrarne il senso, occorre avvicinarsi e analizzarne al microscopio le singole componenti partendo dalla sua etimologia.
Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare – forse suggestionati dalla storia di Ulisse, eroe nostalgico per eccellenza -, “nostalgia” non è un termine antico. Anzi, è stato coniato nel XVIII secolo assemblando due parole greche: nóstos, ‘ritorno’ e algia, ‘dolore’.
Era il 1688, infatti, quando lo studente svizzero Johannes Hofer, nella sua tesi di laurea in medicina, inventò il termine “nostalgia” con il preciso intento di definire una condizione clinica riscontrabile empiricamente, ma che ancora non aveva dignità scientifica (Ercoli, 2016). “Nostalgia” è il nome che egli diede a una patologia medica da cui sembravano affetti i soldati svizzeri che servivano nell’esercito francese. Individuò la sua origine nel cervello e la descrisse come sofferenza, dolore (algia) derivante dallo sradicamento dall’ambiente consueto. Suggerì anche come curarla: un clistere, un salasso o un ematico se i sintomi non si erano ancora manifestati, altrimenti “il ritorno a casa” sarebbe stata l’unica soluzione possibile.
Nóstos non ha un significato riconducibile unicamente allo spostamento fisico, alla dislocazione spaziale. La parola greca comprende il mythos, ovvero il concetto di racconto, di narrazione di un viaggio che è anche metaforico, dell’anima. A transitare, nei viaggi, non è solo il corpo, ma tutte le esperienze che si sono vissute in un luogo, in un periodo e con determinate persone.
La nostalgia ci tiene legati – ma non vincolati, e dopo spiegheremo il perché – a qualcosa di lontano ma ancora significativo, che ha fatto parte delle nostre abitudini e a cui ci è permesso di fare ritorno. Un ritorno con i sensi, con il ricordo, con il pensiero che può far soffrire (da qui il suffisso ‘algia’, ‘dolore)’ tanto che, a un certo punto, qualcuno ha pensato fosse necessario trovare un nome e una cura per questa “malattia”.
Ci si può ammalare di nostalgia?
Le parole che comunemente usiamo per descrivere il mondo, cioè ciò che ci circonda e il modo in cui lo viviamo, hanno un certo grado di influenza sull’idea che abbiamo del mondo stesso: il linguaggio plasma la nostra percezione.
Disporre nella propria lingua di alcune parole, infatti, rende più o meno accessibili determinati concetti guidando, da un lato, il rapporto che ciascuno di noi ha con questi e, dall’altro, il dibattito pubblico. La nostalgia, così fumosa e sfuggente, ha diverse nuances emergenti in ciascuna lingua attraverso termini specifici che fanno virare la sfumatura semantica del concetto verso accezioni più o meno positive o negative, astratte o concrete, affettive o pratiche.
Seguendo l’etimologia della parola e il suo utilizzo nella lingua italiana, “nostalgia” si lega di frequente ad altri termini: desiderio e mancanza. Cercando i suoi sinonimi e leggendo le loro definizioni sul vocabolario, ci imbattiamo in parole dalla connotazione piuttosto drammatica come “rimpianto” e “malinconia”, che non sono completamente corrispondenti al suo significato.
Sentire la mancanza di qualcosa che appartiene al passato è stato storicamente affiancato dapprima a una patologia cerebrale e, successivamente, a una condizione di sofferenza psicologica in cui ricordi ed emozioni si intrecciano, in uno stato in cui mancanza e malessere convivono a stretto contatto. Ma davvero la nostalgia è riconducibile unicamente ad uno stato di sofferenza provocato da mancanza e tristezza?
Un’altra nostalgia?
Il significato e l’utilizzo di un termine vanno sempre contestualizzati. Ai tempi di Hofer, l’invenzione della nostalgia come patologia medica era probabilmente dettata dalle condizioni estreme in cui il fenomeno si verificava. Per esempio, dal fatto che lo sradicamento dei soldati avvenisse forzatamente e in giovane età e che le campagne militari fossero di lunghissima e logorante durata.
Quando pensiamo al passato, dal punto di vista psicologico entrano in gioco moltissimi fattori. Primo tra tutti la memoria autobiografica, ossia quella memoria che riguarda i nostri vissuti e la nostra storia personale. Inoltre, i condizionamenti sociali e lo stato emotivo del momento presente e di quelli passati esercitano un’influenza sull’importanza di questi stessi ricordi, dando forma a ciò che consideriamo passato.
Le nostre memorie e i sentimenti connessi evocano, quindi, scenari molto differenti che non sempre rientrano nel registro delle definizioni di nostalgia. Frasi come “che bei ricordi”, “quanto mi manca Itaca” o “mi ricordo ancora quando…”, per esempio, colorano la nostalgia di affetti, molti dei quali sono positivi.
Antonio Tabucchi, grande autore e figura che fa da ponte tra la cultura lusofona e quella italiana, si è a lungo occupato di uno di quei termini che catturano una precisa sfumatura della nostalgia che in Italiano manca: la “saudade”.
La saudade portoghese parla una lingua differente da quella della nostalgia e non è sovrapponibile ad uno specifico termine in italiano. Si sente qui e ora, e può essere “uccisa” quando quei luoghi, cose, persone di cui sentiamo la mancanza tornano nelle vicinanze.
Mentre la nostalgia fa riapparire un passato di cui sentiamo la mancanza per come noi stavamo in quel momento, la saudade non è strettamente personale e individuale ma, piuttosto, “È una solitudine pluralizzabile e condivisibile (un po’ come lo spinello).” (Antonio Tabucchi). E’ un sentimento che, contemporaneamente, tende al passato e al futuro poiché, come sottolineato in questo articolo, riguarda un desiderio che si vorrebbe vedere realizzato, “non è una nostalgia della felicità avuta e perduta, ma una nostalgia di essere felici ancora, anzi, una speranza di esserlo”.
Vederla in questi termini ci permette di osservare un altro lato della nostalgia: in questo caso non il dark ma il bright side.
Mario Sergio Cortella racconta “Nella vita dobbiamo avere radici e non ancore. La radice alimenta, l’ancora immobilizza. Chi ha ancore vive soltanto la nostalgia e non la saudade. Nostalgico è un ricordo che fa male, saudade è un ricordo che rallegra. Una persona ha saudade quando ha radici poiché il passato la alimenta.”
La nostalgia come risorsa psicologica
Alla nostalgia si abbina, spesso, un sapore: l’agrodolce, in cui gusti contrastanti si mescolano al punto di non riuscire a capire dove termini uno e inizi l’altro. Un intreccio che non sappiamo dire con precisione se sia piacevole o no, se ci faccia male o meno.
Sebbene ci faccia soffrire, infatti, sembra che della nostalgia non vogliamo mai realmente liberarci. Perché, allora, ci crogioliamo in quello struggimento, languendo nel nostro sentimento nostalgico? Forse perché, in fondo, in esso vi è qualcosa che ci rassicura. E, perché, invece che uno stato d’animo che ci inchioda negativamente al passato, come solitamente viene concettualizzata nella cultura occidentale, la nostalgia potrebbe essere una valida alleata. Come ogni stato psicologico, la nostalgia ha una natura multifattoriale: sarebbe una forzatura ridurla a una parola con un significato univoco e invariabile.
La possibilità di percepire la propria esistenza come significativa proviene dalla capacità umana di pensare in termini temporali e, quindi, di impegnarsi in una riflessione nostalgica sul proprio passato. Alcuni studi, infatti, suggeriscono che la nostalgia sia una risorsa che contribuisce a farci percepire la nostra vita come dotata di senso e scopo.
Quali sono, in poche parole, le conseguenze psicologiche della nostalgia suggerite dalle ricerche scientifiche? La nostalgia favorisce il buonumore e l’autostima e rafforza la connessione sociale, facilitando la sensazione che la nostra vita sia dotata di senso e scopo. E, questo, è segno di un sano funzionamento psicologico.
Una ricchezza per chi espatria
Le ricerche in questa direzione contribuiscono ad ampliare il significato comunemente attribuito alla nostalgia, spostando l’ago della bilancia verso un’accezione positiva e vantaggiosa. Per esempio, dal punto di vista degli expat, offre una nuova chiave di lettura rispetto alla mancanza del proprio paese di origine.
Come per ogni altro stato d’animo, la costante tensione verso il passato, se inficia la qualità della vita nel presente e la pianificazione del futuro, può chiaramente rappresentare un ostacolo al benessere psicologico. Tuttavia, un sano orientamento verso ciò che si è stati e ciò che si è vissuto può rappresentare una risorsa vitale per mantenere e accrescere il senso che attribuiamo alla nostra vita, assumendo una funzione esistenziale.
Invece che farci divorare dalla nostalgia, possiamo fare della capacità di tornare metaforicamente alle radici (con il pensiero, l’immaginazione, il ricordo, le sensazioni) una forza.
L’uso del temine nostalgia, per com’è connotato nella lingua italiana, favorisce un registro di malessere e tristezza dal quale sembra non esserci via d’uscita. Riconoscere i vari aspetti della nostalgia, piuttosto che fermarsi a questo valore negativo e unipolare, può invece aiutarci a scoprire quali sono le parti di noi – della nostra storia – che vogliamo integrare nel nostro presente. Contribuisce, in un certo senso, alla costruzione e al mantenimento della nostra identità anche quando ci stabiliamo in un nuovo contesto, ricordandoci di mantenere attivi i legami significativi che abbiamo con le nostre origini.
Bibliografia
Ercoli, L. (2016). Il paradigma nostalgico. Da Rousseau alla società di massa. Tesi di dottorato.
Hofer, J., Dissertatio De Nostalgia oder Heimwehe, 1688; trad. it. Dissertazione medica sulla nostalgia, in AA. VV., Nostalgia. Storia di un sentimento, a cura di A. Prete, Raffaello Cortina, Milano 1992.
Routledge, C., Wildschut, T., Sedikides, C., & Juhl, J. (2013). Nostalgia as a resource for psychological health and well being. Social and Personality Psychology Compass, 7(11), 808–818. https://doi.org/10.1111/spc3.12070
Routledge, C., Arndt, J., Wildschut, T., Sedikides, C., Hart, C. M., Juhl, J., Vingerhoets, A. J. J. M., & Schlotz, W. (2011). The past makes the present meaningful: Nostalgia as an existential resource. Journal of Personality and Social Psychology, 101(3), 638–652. https://doi.org/10.1037/a0024292
Wildschut, T., Sedikides, C., Arndt, J., & Routledge, C. D. (2006). Nostalgia: Content, triggers, functions. Journal of Personality and Social Psychology, 91, 975–993.