Noah ha quasi cinque anni ed è un piccolo italiano nato e residente in Spagna. Il paese di adozione riconosce entrambe le sue genitrici, ma quello di cui gode della nazionalità, l’Italia, soltanto una.
Chiara è una delle sue genitrici e, dopo gli anni della pandemia lontana dalla propria famiglia e dalla mamma che soffre di gravi problemi di salute, ogni tanto accarezza l’idea di tornare a casa.
Per Chiara il progetto del rientro in Italia potrebbe concretizzarsi facilmente se la sua fosse una famiglia nata da una coppia eterosessuale.
Nel suo caso invece, il prezzo da pagare sarebbe troppo alto, perché l’Italia, rispetto agli altri paesi europei, non è certo all’avanguardia quando si parla di diritti LGBT, e le ultime azioni del governo vanno in direzione contraria alle disposizioni UE che prevedono l’obbligo di riconoscimento del certificato di filiazione emesso in uno degli stati europei da altri stati membri, e che mette al primo posto sempre il diritto dei minori.
Un’invasione del diritto nazionale su quello europeo, insomma, per nulla a favore dei cittadini italiani come Chiara e la sua consorte, da anni ormai residenti all’estero.
Se la nazionalità ti penalizza
Chiara e Sara si sono conosciute ad Alessandria, entrambe originarie di quella zona, nonostante Chiara fosse ormai residente a Milano per studio e lavoro.
“Dopo poco tempo che stavamo insieme sono riuscita a convincerla a seguirmi in una nuova avventura, e ci siamo trasferite insieme a Londra”, racconta Chiara. “Poi in Germania per un breve periodo e infine a Barcellona, dove avevo diversi amici e la possibilità di trovare lavoro entrambe. Non siamo più tornate a vivere in italia e nel 2013 abbiamo anche deciso di sposarci, con l’idea di diventare genitrici e mettere su famiglia.
Abbiamo così iniziato il processo della fecondazione assistita. Qui in Spagna, per il primo figlio, anche se si tratta di fecondazione eterologa, ci si può rivolgere al sistema sanitario nazionale fino a tre tentativi.
La gravidanza tanto attesa è arrivata e a ottobre del 2018 è nato il piccolo Noah, la nostra gioia più grande”.
Nei paesi come la Spagna, in cui non vige lo ius sanguinis più che lo ius soli e la cittadinanza può essere acquisita dopo 10 anni di residenza nel paese, i bambini nati da genitori stranieri acquisiscono la cittadinanza dei genitori.
L’atto di nascita deve essere anche registrato nel consolato dell’ultimo comune italiano in cui si ha avuto la residenza, per richiedere i documenti di identità.
Un primo ostacolo si presenta subito: anche se il paese di residenza riconosce entrambe le genitrici, in Italia Noah ha solo una mamma, Chiara, in quanto madre biologica. Sara non ha alcun legame con lui.
Il legame di sangue e il DNA quindi, contano più della responsabilità genitoriale.
I muri alti della burocrazia
“Noah porta ovviamente il cognome di entrambe”, spiega Chiara. “I problemi sono iniziati sin dalla registrazione al consolato italiano a Barcellona, dove ci hanno detto che il sistema non permetteva di inserire due genitori dello stesso sesso e che quindi avrei potuto registrare soltanto il mio nome.
Il nome di Sara non compare sul passaporto di nostro figlio e quando, in occasione di un viaggio di lavoro, Sara e Noah mi hanno raggiunta successivamente, ho dovuto fare un’autorizzazione ufficiale per permetterle di viaggiare con il suo bambino.
La prima volta tutti e tre in Italia siamo andate personalmente a richiedere la registrazione nel nostro vecchio comune di residenza (procedura che normalmente avviene in automatico mediante la trasmissione dei documenti di nascita dal consolato al comune italiano), ma il funzionario si è chiaramente rifiutato di registrarci.
Così abbiamo dovuto contattare il sindaco e segnalare la questione ai giornali locali: insomma, dopo una lotta davvero logorante nostro figlio è stato finalmente registrato in Italia, come figlio soltanto, e di conseguenza, è come se la nostra famiglia qui non esistesse”.
Un genitore privato dei propri diritti
Nel nostro paese Chiara è quindi l’unico genitore riconosciuto e, in sua mancanza, il bambino verrebbe affidato ai familiari di Chiara e non a Sara, che lo ha accolto tra le braccia quando è venuto alla luce e che è stata sempre accanto a lui nel primo e fondamentale periodo della vita.
Inoltre, in caso di un’eventuale separazione, Sara non avrebbe diritti e doveri verso suo figlio.
“Come tutti coloro che vivono lontani dalla famiglia, gli ultimi anni sono stati difficili e ci è capitato spesso di valutare un eventuale ritorno in Italia.
Mia mamma ha problemi di salute e durante il periodo della pandemia le restrizioni hanno amplificato la distanza. Mia moglie Sara per un periodo non ha lavorato, e io ho cambiato impiego. Non è il mio lavoro ideale, ma mi permette di sostenere la famiglia. Sara, invece, al contrario di me, paradossalmente in Italia avrebbe più opportunità.
Ma lei, più di me, vede la possibilità di rientro ancora molto lontana. Secondo il nostro paese Noah non è suo figlio, e questo non possiamo accettarlo.
Anche se fosse riconosciuto attraverso la sentenza di un tribunale dovrebbero esistere leggi, che ancora non ci sono, in grado di tutelarci e riconoscere il suo ruolo in tutti gli ambiti, dall’educazione alla salute. Siamo una famiglia come le altre ed è così che vorremmo essere trattate”.
La discriminazione alimentata dalla legge che non c’è
In Italia le vittime di aggressioni fisiche o verbali sono purtroppo ancora numerose, e la maggioranza di queste non vengono ovviamente segnalate. Non che questo non avvenga in altri paesi, anzi. In molti Stati europei, la strada è ancora lunga. Esiste quindi una differenza tra Italia e Spagna?
“A Barcellona sono state segnalate aggressioni omofobe di recente, e anche qui ci sono persone che purtroppo non rispettano le minoranze”, racconta Chiara.
“Noi ad esempio abbiamo un vicino di casa dichiaratamente omofobo e lo sappiamo. Ma qui mi sento tutelata dalla legge e protetta dallo Stato: questa è la grande differenza”.
In Europa esiste una legge contro l’omofobia ormai in tutti i paesi, ad eccezione dell’Italia – che non ha approvato il DDL Zan nel 2021, della Lituania e della Bulgaria.
“Devo ammettere che durante i periodi di permanenza in Italia non abbiamo mai vissuto situazioni sgradevoli, ma è anche vero che da quando è nato Noah non ci siamo fermate a casa per lunghi periodi, e dall’estero è difficile prendere le misure.
Forse amplifico alcune problematiche, è vero, ma la percezione che si ha da fuori mi mette un po’ di timore verso le persone dichiaratamente omofobe, che rappresentano sicuramente una minoranza, ma rumorosa e spalleggiata da una parte della politica.
Mi spaventa il razzismo in generale, la discriminazione verso chi è diverso; ma so che le cose gradualmente stanno cambiando e spero, in futuro, in un’accoglienza diversa, soprattutto per mio figlio, da parte del nostro paese”.
In Italia, dal punto di vista della politica locale, la situazione è piuttosto frammentata. Alcune amministrazioni comunali si stanno irrigidendo, rifiutandosi di registrare nuovi atti di nascita o addirittura, come la Procura di Padova, impugnano gli atti di nascita di bambine e bambini figli di coppie di due madri, ci sono altre realtà che si muovono diversamente. Non dimentichiamo che il 12 maggio 2023 a Torino si sono riuniti 300 sindaci in occasione dell’evento Torino città per i diritti, per discutere di riconoscimento dei figli delle famiglie omogenitoriali, matrimonio egualitario e accesso alle adozioni. Si è parlato di leggi e amore, guidati dall’idea secondo cui le leggi non possono “ingabbiare” l’amore e che, semplicemente, le famiglie sono tutte uguali.