Panettoni, regali, lunghi pranzi, chiacchiere e giochi da tavola: poi ad un tratto si spengono le luci natalizie e c’è il rientro a casa, al lavoro, alla routine di prima.
È la “sindrome post vacanze”, che si verifica al rientro.
Una sensazione scomoda che molti expat vivono quando, una volta terminate le vacanze in famiglia, il riadattamento alla routine – scolastica, lavorativa, ma anche famigliare – appare particolarmente faticoso.
Dopo i giorni “caldi” trascorsi insieme ai cari alla ricerca estrema di benessere, soddisfazioni materiali ma anche emozionali, circondati da cose belle, il ritorno alla quotidianità è indubbiamente freddo e poco motivante.
Salutare i propri cari, la distanza improvvisa dopo momenti di estrema vicinanza possono portare a un malessere psicofisico e a un crollo dell’umore, e in generale a un inizio dell’anno in salita.
C’è chi ama il Natale e non attende altro che questo momento e chi altrettanto felice di ritornare nella propria dimora, perché, si sa, il Natale in famiglia può anche essere forma di stress: le aspettative a volte sono troppo alte così come le persone da incontrare, che si moltiplicano trasformando i pochi giorni di permanenza in una maratona di appuntamenti con amici e parenti.
Comunque vada, al ritorno nessuno è indifferente.
Dopo la festa della famiglia, la sindrome post vacanze è inevitabile
“L’anno scorso i miei genitori sono venuti a casa nostra, in occasione del Natale, ma solitamente siamo io, mio marito e mia figlia ad andare da loro in Italia”
Racconta Francesca, residente a Londra da 11 anni dove lavora nel settore sociale, insieme al marito e alla figlia.
“Vivo qui da parecchi anni ormai e la mia vita è in Inghilterra: ho una figlia e un marito che non è italiano, e neanche lui ha qui la sua famiglia.
In generale torno in Italia ogni volta che posso: il rientro a casa è sempre duro, ma quello post-natalizio è sempre più difficile.
Il motivo? Sinceramente non lo so.
Credo sia legato al fatto che il Natale è la festa della famiglia, in cui mi sento bene. Io sono molto legata alla mia, e ritornare significa mancanza. Per alcuni giorni non possono evitare di sentire una sensazione di vuoto interiore.
Stare distante da loro spesso mi fa soffrire, e salutarsi dopo i giorni trascorsi sempre insieme ancora di più.
Provengo da un paesino della provincia di Varese in cui tutti i familiari vivono uno accanto all’altro. Basta camminare dieci minuti a piedi per essere a casa di mia mamma o di mio fratello.
Dove vivo invece i ritmi di vita sono totalmente diversi. Uno dei miei fratelli vive a Londra, e questo è un vantaggio: ma per andare a trovarlo, anche se siamo nella stessa città, devo calcolare un’ora e mezza di spostamento! Per chi arriva dalle mie parti è davvero un’assurdità.
Qui ci si sente molto soli: la vita è frenetica, il tempo per socializzare molto poco”.
Una sindrome transitoria da accettare
Guardare al futuro, pensare ai propri hobby, programmare il prossimo viaggio o prendere gli impegni con più calma può aiutare a superare le sindrome post-vacanze e viverla come un inevitabile periodo transitorio.
“Per quanto mi riguarda non affronto questa tristezza, la accetto. Non so se sia l’atteggiamento giusto.
Per esperienza, ormai, so che ho bisogno di qualche settimana di triste malessere per poi riabituarmi alla mia vita qui.
Perché, nonostante tutto, non ho mai preso in considerazione l’idea di rientrare in Italia.
Penso alle opportunità che Londra offre a mia figlia: dal campo sportivo a quello artistico, e non solo. Lei frequenta una scuola pubblica (non potremmo permetterci quella privata) che però le permette di seguire tantissimi corsi interessanti gratuitamente. Chi non ha le possibilità economiche riceve dei ‘benefits’ da parte del governo per istruzione e formazione.
La seconda ragione, forse la più importante, consiste nel fatto che mio marito non verrebbe mai a vivere in Italia, e per il momento non posso dargli torto. Lui è di origine africana e ha la pelle scura: dalle mie parti si sente accettato da alcuni ma per nulla da altri, soltanto per il colore della sua pelle.
Trovo che l’Inghilterra sia decisamente più avanti per quanto riguarda la difesa delle persone vittime di razzismo. Non intendo dire che qui non esista razzismo, perché non è vero, ma se sei discriminato per il colore della pelle hai gli strumenti per essere preso sul serio, mentre in Italia questo ancora non avviene.
Infine c’è la questione economica: non siamo ricchi e non abbiamo grandi stipendi, ma mi sento più tutelata dallo Stato. So che in caso di perdita del lavoro riceverei dei benefits e, durante il lockdown, mio marito come libero professionista ha ricevuto l’80% del suo reddito per tutto il periodo in cui non ha potuto lavorare.
In Italia gli aiuti per coloro che lavorano nella sua categoria sono stati quasi inesistenti, e conosco più persone che hanno visto la propria attività andare in fallimento.
Quando hai una famiglia la scelta migliore è quella che coinvolge tutti, per cui, personalmente, me lo faccio andare bene.
Ho quindi raggiunto la piena consapevolezza che stare a Londra rappresenta la condizione ideale per la mia famiglia: devo però ammettere che, a distanza di anni, le difficoltà che mi ritrovo ad affrontare nel periodo di rientro post-vacanze sono sempre le stesse” e il rientro a casa (a Londra ed in Italia) sempre faticoso.