Il copione è noto: stai guardando un film, comodamente sedut* sul divano di casa, in mezzo ai tuoi genitori. Tutto sembra sotto controllo.
Poi, la tragedia: sullo schermo, una scena di sesso.
Nel lungo elenco di eventi imbarazzanti, questa è una tappa fondamentale nel ciclo di vita familiare, che indubbiamente merita un posto sul podio. E che ha la tendenza a riproporsi. Non importa quanto, nel frattempo, si sia cresciuti: è un momento capace di ritraumatizzarci ogni volta.
A chi non è capitato, almeno una volta durante la propria adolescenza, di trovarsi in questa situazione di disagio assoluto? E’ la sensazione di vivere qualcosa di profondamente inopportuno. Di star condividendo qualcosa di troppo intimo con le persone più sbagliate. Di trovarsi in un vicolo cieco da cui è impossibile evadere, incastrati tra le presenze invadenti di mamma e papà. “Cringe…”, direbbero gli adolescenti di oggi: un’espressione che indica imbarazzo, un verbo che rimanda alla sensazione corporea del “contrarre i muscoli involontariamente per il freddo”.
Mutismo selettivo: di quale sessualità vogliamo parlare in casa?
Quella descritta poco fa è una scena emblematica della difficoltà legata al parlare di sessualità in casa, in famiglia. In realtà, un po’ ovunque in Italia. Il sesso è ancora un argomento-tabù inviolabile per entrambe le parti, che si tratti di figli/e o di genitori. Per i primi: perché i propri genitori non sono gli interlocutori più adatti nel delicato processo di emancipazione che si affronta in adolescenza. Per i secondi: perché spesso non si sentono in possesso delle competenze necessarie per toccare queste tematiche. Per tutt*: perché apparteniamo a una cultura in cui si fa fatica a parlare di sessualità in termini svincolati da un giudizio moralizzante.
La sessualità è una tematica caldissima, di per sé densa di significati. Il silenzio, il mutismo selettivo – o, al contrario, la caciara – che vi si costruisce culturalmente attorno, rischiano di renderla un oggetto impossibile dei discorsi. Il sesso rimane qualcosa di “sporco”, di cui poter parlare soltanto in termini medici e meccanici, oppure con atteggiamento voyeuristico, goliardico e volgare. Per stereotipi e barzellette.
C’è un bisogno forte, invece, di parlare di sessualità tra giovani e adulti in termini diversi. E’ un dato scientifico: parlare di sesso con i/le propri/e figli/e – farlo nel modo giusto – contribuisce positivamente alla loro salute sessuale. E si tratta di una richiesta, quella di intavolare un discorso su sessualità e affettività, che giunge proprio dai/dalle giovani.
“Parliamone”
Aprirsi a un dialogo sulla sessualità dalla posizione di genitori spesso significa ammettere dolorosamente che i/le propri/e figli/e facciano sesso. O porsi nella prospettiva che, prima o poi, lo faranno. O che non l’abbiano ancora fatto, e che questo sia indicativo di “qualcosa che non va”. Ma perché, poi, dolorosamente, se è un evento naturale e prevedibile? E se, soprattutto, oltre ai rischi ha a che fare con il piacere, la relazione. Perché privare i/le giovani della possibilità di vivere quest’esperienza secondo il principio del piacere, piuttosto che nel segno dell’angoscia?
Specularmente, affrontare l’argomento con i propri genitori implica la percezione di un’incursione invasiva all’interno di una sfera intima che, peraltro, talvolta avviene. E, cosa non da poco, significa ammettere di essere “sessualmente attivi”, soggettività sessuali-sessuate che stanno costruendo questa dimensione della propria identità.
E’ una metamorfosi delicata, spesso colpevolizzata, inevitabilmente legata al timore del giudizio e, pertanto, vissuta come “sbagliata”. Oppure finisce per essere un passaggio di cui i genitori sono eccessivamente partecipi, in una confidenzialità che varca i confini delle giuste distanze.
Forse, parte di questa difficoltà deriva da un equivoco di fondo. Parlare di sesso non significa solo parlare dell’atto penetrativo, che peraltro veicola una visione di sessualità eteronormativa e ristretta. L’abbiamo più volte sottolineato (per esempio, qui ): la sessualità è una dimensione ampia, caleidoscopica.
Che ha a che fare con il corpo, l’identità, le relazioni, il sentire. Con la complessità. Se parlare di sessualità significa tutto questo, è evidente quanto sia importante farlo presto e nell’ambito dei legami affettivi significativi. Ma, soprattutto, parlare di sessualità non significa parlare della propria vita sessuale in senso stretto, cosa su cui è bene, invece, mantenere riservatezza e separatezza. E’ importante avere in mente di quale sessualità vogliamo parlare in casa.
Lessico familiare
Aprire un confronto intergenerazionale sulla sessualità significa, per tutti i componenti del nucleo familiare, porsi di fronte a una sfida dandosi l’opportunità di crescere. Inserirsi in uno scambio arricchente che nutre la conoscenza sulle differenti culture sessuali, sul modo di stare in relazione con se stessi e gli altri. Significa darsi la possibilità di capirsi l’un l’altr*, di guardare le cose da altri punti di vista. Di spiegarsi scelte che appaiono reciprocamente incomprensibili, aliene. Parlare di sesso in famiglia da una prospettiva diversa da quella della prevenzione dei rischi, vuol dire nutrire l’idea di sessualità come esperienza di relazione.
Ma quali parole usare, per parlare di sesso in famiglia? Più che con le parole giuste, che forse nemmeno esistono, andrebbe fatto nei giusti tempi, con le giuste intenzioni. Cioè: presto, con naturalezza, sincerità e curiosità, sottolineando la natura fondamentalmente relazionale della sessualità. Senza giudizio né condanna delle scelte individuali, nemmeno di quelle che ci appaiono più distanti e inspiegabili. Con il coraggio, però, di mettere in discussione le proprie. Con l’intento radicato (e radicale) di promuovere equità, tenerezza, comunicazione, consenso, reciprocità, esplorazione autonoma. Permettendo la diversità. Spogliando la sessualità di quei connotati oscuri e sporchi che ne fanno un argomento proibito. Riformulandone la narrativa.
Se le parole sono difficili da rintracciare, si può immaginare di inventare un nuovo vocabolario, di costruirlo insieme, figli/e e genitori. Un lessico familiare in cui mettere in comune i dizionari emotivi ed esperienziali, mescolarli per costruire la propria concezione di sessualità, il proprio linguaggio.
Le parole de* altr*
E se, ancora, si fa fatica a trovare le proprie parole, si possono prendere in prestito quelle di altr*. Recentemente sono stati pubblicati diversi testi che possono venire in aiuto in questo senso (li trovate in fondo, nella sezione “Per approfondire”).
In particolare, trovo che meriti attenzione “Making of Love. Parliamo di sesso” (Fabbri Editori, 2020). Un libro scritto da 4 ragazzi e 4 ragazze, “i Molesti”, che nasce da un più ampio progetto. Vi si ritrova una sessualità “senza preconcetti, senza tabù, senza vergogna e senza pregiudizi”. Si rivolge “ai coetanei e a chiunque voglia chiarirsi le idee sul sesso”. Uno spunto interessante per osservare sessualità e affettività dal punto di vista de* ragazz*, che propongono una “nuova grammatica dell’educazione sessuale”. I Molesti sono protagonisti di un documentario e hanno scritto diretto, interpretato un film rivolto a student* delle scuole. “Edoné. La sindrome di Eva”, questo il titolo, può offrire tanti spunti ad adolescenti e adulti per aprire un dialogo intergenerazionale su questi temi. Per cominciare a scardinare qualche tabù. Sta girando in questo periodo nei cinema d’Italia e si può richiedere la proiezione nella propria città. Sul sito del progetto si trovano tutte le informazioni.
Quella della sessualità è una scoperta personale: chiaramente non tutto, tra genitori e figli/e, va raccontato. Ma l’esplorazione individuale avviene sempre e comunque all’interno di un contesto. Se l’ambiente è predisposto a un dialogo non soffocato da censure, le scelte affettive e sessuali che il/la giovane farà saranno migliori. Lo dice la scienza. Non resta che provare.
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