Era il 2001 quando decisi di partire per l’Irlanda con un biglietto di sola andata.
Avevo 21 anni, una crisi di fine primo ventennio e il bisogno di vivere lontano da casa per vedere meglio e capire cosa c’era là fuori.
Non ero l’unica: eravamo noi, la prima generazione di europei che si spostavano per scelta e non per vera necessità.
Universitari, lavoratori, o entrambi, alcuni in preda al delirio dell’anno sabbatico.
La generazione Erasmus, ovvero coloro che hanno iniziato a viaggiare per l’Europa ma non per visitare il Big Ben e la tour Eiffel: per vivere le culture vicine e allo stesso tempo lontane e sentirsi per la prima volta cittadini di un continente dai grandi progetti.
Oggi diremmo che avevamo bisogno di uscire dalla nostra comfort zone, ma allora era un concetto ancora sconosciuto.
Un lavoro in 48 ore, un letto a Dublino dopo due settimane
Perché l’Irlanda? Una scelta sinceramente del tutto casuale: un conoscente aveva deciso di provare a fare fortuna da quelle parti, e aveva un divano a disposizione, in attesa di trovare una stanza o un posto letto a Dublino.
In quegli anni, neolaureati dall’Italia arrivavano per sostenere colloqui per aziende conosciute come Microsoft o Google.
Per gli studenti e chi non aveva un titolo universitario, la ricerca si focalizzava in ristoranti, pub e caffè dove “si trova velocemente e si guadagna bene”.
Che si trovasse subito era realtà: carenza di personale e ricambio di camerieri continuo, bastava entrare in tre o quattro posti per ricevere una proposta per una giornata di prova. A rendere appetibile il guadagno erano le tips, consuetudine in UK, che permettevano, nei fine settimana, di raddoppiare la paga quotidiana.
Se a Dublino il lavoro era tanto, le stanze e le case scarseggiavano e un letto a Dublino una chimera.
Internet era agli albori, ed era l’anno delle mail: da qualche mese anche io, come altri coetanei, avevamo aperto la prima casella di posta elettronica, e ci si divertiva a mandare mail agli amici e ai famigliari.
Ma a parte le lettere elettroniche e le news pubblicate su siti rudimentali, la stanza da affittare si cercava ancora tra gli annunci sui giornali specializzati e per lavorare nella ristorazione si andava porta a porta, strada per strada, con mappa alla mano, distribuendo il proprio numero di telefono.
Così a Dublino, nel 2001, si creavano velocemente comunità di giovanissimi expat alla prima esperienza lontano da casa.
Legami forti, di chi condivide uno spazio, un’esperienza importante e un pezzo di vita: una stanza, una cucina, un bagno, i turni massacranti di lavoro in un bar, le gite fuori porta, le serate nei pub.
Quei legami che misteriosamente dopo vent’anni senti ancora vivi, anche a distanza.
Paese di vento, verde e conflitto
Dell’Irlanda mi hanno conquistato i prati di un verde intenso, i paesaggi, lo spazio, la bassa densità abitativa, il fatto che ci siano più pecore che persone.
Dublino risultava meno cara e sovraffollata di Londra. Uscire dalla città per una passeggiata in riva al mare e sui verdi prati molto più semplice.
Meno cosmopolita della capitale britannica, sicuramente, ma anche capace di accogliere tutti.
Fuori c’era un paese più autentico e tutto da scoprire: dal silenzio delle isole Aran alle cornamuse ai piedi della rocca di Cashel, dai colori di Cork alle coste battute dal vento atlantico del selvaggio Donegal.
E poi c’era l’Irlanda del Nord, l’altra faccia del paese: il coprifuoco delle 5, a seguito di un’autobomba e della rivendicazione dell’uccisione di un civile e di Christopher O’Kane, i blindati per la strada, la peace line, ovvero il muro che divide la città (come può un muro rappresentare la pace?), i murales pacifisti di Short Strand, le pietre lanciate dai bambini di Shankill Road agli italiani e agli spagnoli.
Una normalità apparente dall’equilibrio precario diventata ormai parte di una città divisa e simbolo di un paese diviso, focolaio dell’odio tra chi vive a pochi metri di distanza, acceso dalla miccia della politica e del valore della moneta.
Il paese dei migranti che accoglie i migranti
Nonostante fare amicizia con gli irlandesi non fosse impresa facile, creare comunità tra expat lo è per affinità relative all’esperienza e alla nuova dimensione di vita.
In Irlanda lo straniero si sente accolto, quasi a casa. Perché gli irlandesi sanno cosa significa emigrare, e ognuno di loro ha parenti sparsi per il mondo.
Si calcola che dall’Irlanda, che oggi conta meno di 5 milioni di abitanti, siano partite 10 milioni di persone, dirette prevalentemente in Usa, Canada e Regno Unito.
Tra il 1815 e il 1845 quasi un milione di irlandesi approdò in America del Nord, contribuendo allo sviluppo politico, economico e culturale del nuovo mondo. Nei decenni successivi, a causa della carestia, l’Irlanda vide partire un terzo dei propri abitanti.
Ma la migrazione massiccia vide gli irlandesi lasciare la verde isola per attraversare l’Oceano dopo la Seconda guerra mondiale, anche a bordo di navi merci, come racconta Frank McCourt, autore di Le ceneri di Angela, nel suo secondo romanzo autobiografico.
Una diaspora di cui il governo irlandese ha dovuto prendere coscienza alla fine del ‘900, iniziando ad avere un occhio di riguardo verso i discendenti della popolazione irlandese all’estero.
L’Irlanda, 20 anni dopo
La migrazione verso l’Irlanda del 2001 era l’inizio. Oggi l’Irlanda è una nazione sempre più multiculturale. Luogo di accoglienza per i “cervelli in fuga” provenienti da tutto il mondo, in quanto continua ad ospitare sempre di più le sedi europee di aziende tecnologiche, diventando polo di innovazione a livello globale.
Dublino e Cork offrono opportunità di lavoro e scambio culturale: e dopo la Brexit, l’offerta formativa e la richiesta da parte dei giovani dell’unico paese anglofono della UE è indubbiamente destinato a crescere.
Le opportunità lavorative per i giovani europei che scelgono l’isola verde è cambiato negli ultimi vent’anni: per il momento, a causa della pandemia che ha momentaneamente rallentato il settore della ristorazione, si parte meno per fare i camerieri in pizzeria o raccogliere i bicchieri nei pub, ma il mercato del lavoro irlandese è in continuo fermento e sa rinnovarsi offrendo nuove opportunità. Ma trovare un letto a Dublino rimane un problema
Transiti va in Irlanda
Dopo il viaggio in Regno Unito, la redazione di Transiti abbiamo scelto il secondo paese anglofono d’Europa che oggi ospita di circa 20.000 di italiani.
Secondo il censimento irlandese del 2016 infatti, gli italiani residenti erano 12.000 ma si stima siano aumentati del 50% tra il 2016 e il 2021. Chissà se hanno trovato un letto a Dublino?
Daremo voce agli italiani che hanno scelto l’Irlanda per affrontare tematiche come lavoro, famiglia, rete e comunità, salute mentale e benessere in generale, per fornire una fotografia di cosa significhi oggi vivere nell’isola di Joyce e Beckett, due autori che irlandesi ma, come molti connazionali, anche cosmopoliti e migranti.
Se hai bisogno di supporto e vuoi iniziare un percorso di consulenza di carriera, Transiti è qui per aiutarti: clicca qui per saperne di più e prenotare il tuo colloquio di accoglienza gratuito.