La ricerca
Il campione di italiani intervistati da Transiti per la ricerca sulla condizione psicologica nel Rapporto Italiani nel Mondo 2021 vive attualmente all’estero (95%) e solo il 5% è rientrato stabilmente in Italia. Di questi, l’80% è da considerarsi di fatto “expat”, con più di tre anni di vita all’estero.
Pochi (5%) sono i neoemigrati negli ultimi 12 mesi. Un dato a cui ha certamente contribuito la pandemia.
Il tema della salute psicologica è percepito più facilmente dalla popolazione femminile. Questo spiega il fatto che il 73,4% del campione sia costituito da donne. È un dato assolutamente discordante rispetto alla distribuzione per sesso degli expat italiani. Così come è discordante il dato del profilo formativo: il 65% del campione ha almeno la laurea magistrale.
Un campione prevalentemente giovane (il 61,4% è under 40), colto, emancipato, con un progetto di espatrio ben costruito e riuscito sia sul piano personale (il 75,5% ha una relazione stabile) che sul piano professionale: si tratta di persone soddisfatte del proprio lavoro (71%).
Un universo fortemente diverso da quello caratteristico della popolazione italiana ma che rispecchia bene l’esodo dei cervelli, l’uscita dall’Italia della popolazione giovane, colta e femminile che non riesce a trovare nel nostro paese la giusta collocazione sociale ed economica.
È una popolazione molto più attenta della media dei connazionali al tema dei disagi psicologici (il 40% è attualmente in terapia o lo è stato, contro il 15% della media italiana), capace di aprirsi e rispondere su temi delicati, desiderosa di esporsi per trovare delle soluzioni per sé, la propria famiglia e le persone che hanno lasciato l’Italia negli ultimi 10-15 anni.
Una popolazione, questa, che ha vissuto il primo anno di pandemia con un certo livello di benessere grazie a spazi adeguati e confortevoli in casa (68,3%), ma che ha visto insorgere, per sé e per la propria famiglia, nuove difficoltà.
La condizione psicologica
La rilevazione ha fatto emergere le voci degli expat italiani, prima del Covid-19, con una popolazione che sentiva di avere una “buona” (38,5%) se non addirittura “molto buona” (48,2%) salute psicologica (per un totale di 86,7%). Dopo dodici mesi di restrizioni e disagi causati dalla pandemia, il 71,5% ha osservato un peggioramento della propria condizione psicologica, che imputa “principalmente al Covid-19” (31,8%) o “fortemente al Covid-19” (39,8%).
Approfondendo i sintomi del disagio provato, emergono elementi evidenti quali ansia e insonnia (20%) e tristezza/depressione (35%). Si tratta di una sintomatologia che si evidenzia anche nella perdita di prospettiva e nel senso di oppressione (entrambe al 30%).
Da questi primi dati e dalle parole che abbiamo raccolto per gli italiani nel mondo, risulta evidente come il Covid-19 abbia implicato lo stravolgimento della vita costruita attorno all’espatrio, imponendo alle persone di “osservarsi” e fare un bilancio della propria esistenza rimettendo in discussione le priorità, senza però ancora essere in grado di riprogettare il futuro nel tempo e nello spazio.
Le voci degli expat
Abbiamo raccolto alcune voci degli expat che hanno visto peggiorata la propria situazione psicologica a causa del Covid-19. Frasi in cui ritornano molto frequentemente le parole FAMIGLIA, LAVORO, INCERTEZZA, SOLITUDINE, ANSIA, VIAGGIARE, ISOLAMENTO, LONTANANZA e DEPRESSIONE.
Di seguito, le loro parole:
- I rapporti sociali al di fuori della FAMIGLIA sono diminuiti notevolmente, mio marito pauroso del Covid ha stressato tutta la FAMIGLIA”. (GERMANIA)
- “ISOLAMENTO, mancanza di opportunità, servizio sanitario locale non adeguato, paura per la mia FAMIGLIA, reperibilità costante in smart working”. (ALBANIA)
- “Ho sempre paura di ammalarmi o che si ammali uno dei miei cari e di non poterlo rivedere. Ora che sono iniziate le riaperture mi sento a disagio in mezzo alla gente”. (FRANCIA)
- “Sono infermiera. Il mio LAVORO è diventato la mia vita. Ho avuto un burn out e sono caduta in DEPRESSIONE. Non ho più potuto svolgere le attività ricreative e sociali che svolgevo precedentemente per cui il peso psicologico del mio LAVORO è diventato quasi insopportabile”. (GERMANIA)
- “Mi sento prigioniero”. (CANADA)
- “Il mio compagno ha perso il LAVORO a causa della crisi e non sono riuscita a LAVORARE come avrei voluto, inoltre ho sentito molta nostalgia dei miei genitori”. (UK)
- “Sono lontana da casa, in un paese straniero che per quasi un anno ha gestito la pandemia in modo pessimo, senza sapere quando riuscirò a tornare a vedere la mia FAMIGLIA”. (UK)
- “Le restrizioni in Irlanda sono state particolarmente severe e il fatto di essere vicini ma con pochissimi voli e la quarantena in hotel per un periodo mi ha veramente messo delle preoccupazioni assurde”. (IRLANDA)
- Perché qui è come stare in carcere e senza diritti”. (CUBA)
Trovate questo articolo pubblicato anche sul sito di Fondazione Migrantes.