Non si può parlare di lavoro all’estero senza pensare alla previdenza sociale, ovvero quei contributi che vengono versati ogni mese e che rappresentano una sorta di “sicurezza”, lontana e impalpabile, per il futuro di ogni lavoratore.
Un tema complesso e sfaccettato in particolare per gli italiani all’estero, che può generare ansia e preoccupazioni, specialmente per coloro che vantano esperienza lavorativa in più paesi.
In supporto agli expat, i Patronati italiani svolgono un ruolo cruciale riguardo l’assistenza in questo settore e offrono un aiuto importante per coloro che si trovano a navigare tra le normative italiane e quelle del paese ospitante, assicurando che nessun diritto venga trascurato, sia per chi decide di rimanere all’estero, sia per chi sceglie di tornare in Italia. Nadia Lepore, responsabile del Patronato ITAL-UIL – di Melbourne, ci offre uno sguardo approfondito su come questi enti supportino i cittadini nelle loro sfide pensionistiche e non solo.
Il patronato, un supporto prezioso
I Patronati italiani sono oggi presenti in più di 30 paesi e con oltre 400 sedi territoriali. Si tratta di uffici che rappresentano un punto di riferimento fondamentale e offrono assistenza ai cittadini italiani su vari aspetti, come previdenza sociale, assistenza sanitaria o questioni legali.
“A differenza dei CAF, che si occupano prevalentemente di questioni fiscali”, spiega Nadia Lepore, “il patronato fornisce una vasta gamma di servizi di assistenza principalmente in ambito previdenziale. L’assistenza si estende anche ad altre aree come maternità, infortuni e disoccupazione; nel caso dell’Australia, e in particolare in ITAL-UIL a Melbourne, ci occupiamo prevalentemente di supporto pensionistico, in quanto gli altri servizi sono gestiti dagli enti locali territoriali e sono di facile accesso per tutti”.
Una convenzione di successo
La Convenzione tra Italia e Australia, firmata nel 1993, è uno degli esempi più significativi del lavoro svolto dai Patronati, e permette ai cittadini italiani residenti in Australia di combinare i periodi di residenza nel paese ospitante con gli anni di contribuzione in Italia per raggiungere i requisiti pensionistici.
Prima di questa intesa, il rischio di perdere il diritto alla pensione in Italia non era escluso: oggi gli anni di residenza in Australia (maturati con visto permanent resident) si sommano agli anni in cui si è lavorato in Italia per raggiungere il minimo previsto dallo stato italiano, che è vent’anni, per ricevere la pensione INPS, che sarà ovviamente proporzionata ai contributi versati in Italia. In poche parole, se un italiano residente in Australia – o cittadino australiano – ha lavorato cinque anni in Italia e possiede quindici anni di residenza in Australia, gli anni di residenza australiani saranno utili per raggiungere la quota venti richiesta dall’Italia.
“Una volta raggiunti i requisiti richiesti da entrambi i paesi – anni di contribuzione ed età pensionabile, che in Australia è di 67 anni – la persona che inizia il trattamento pensionistico riceverà un contributo da entrambi i paesi”, spiega Nadia Lepore. Se in Italia ci pensa INPS, in Australia la questione è più complessa, in quanto il contributo arriva da fondi privati o, solo se si hanno i requisiti, dall’ente previdenziale australiano.
“Nel caso dell’Australia, il datore di lavoro versa la contribuzione – che equivale all’11,5% dello stipendio, in un fondo privato scelto dal lavoratore.
Alla pensione proveniente dai fondi privati – detta Superannuation -, può aggiungersi la pensione sociale – age pension – dello stato australiano fornita da Services Australia, l’ente di previdenza sociale – che però viene erogata solo a coloro che non superano una certa soglia di reddito, che include anche beni immobili e mobili posseduti, che hanno compiuto 67 anni di età e hanno almeno dieci anni di residenza.
Il trattamento pensionistico, quindi, per coloro che hanno lavorato in Italia e Australia, può rappresentare la somma di tre diversi contributi: la pensione proveniente dall’Italia (INPS), la age pension per coloro che ne hanno i requisiti, e infine la Superannuation”, la cui età minima pensionabile varia a seconda del fondo privato scelto.
L’accordo tra Italia e Australia, quindi, è un vantaggio non scontato per i lavoratori expat. Fuori dai paesi che aderiscono alla normativa europea, infatti, la garanzia di poter contare su una convenzione con il proprio paese non esiste ovunque, eppure si tratta di un dettaglio da tenere in considerazione, se non addirittura fondamentale.
Una burocrazia snella
Calcolare oggi i contributi versati nel corso della propria carriera lavorativa non rappresenta un problema nella maggior parte dei casi, in quanto in Italia come in Australia tutto viene registrato nei sistemi informatici ed è semplice accedere al proprio estratto contributivo.
Diversa è la situazione di coloro che hanno iniziato l’esperienza lavorativa negli anni ’50 o ’60, quando i contributi venivano messi negli appositi libretti di lavoro sotto forma di ‘marche’: “Poteva capitare che le persone perdessero queste marche o che addirittura venissero rubate. Oggi è difficile imbattersi in questi casi, anche se a volte capita che una persona che ha più di 60 anni riscontri difficoltà nell’ottenere documenti che attestino la sua attività lavorativa risalente a 40 anni prima.
In secondo luogo, un altro problema spesso segnalato riguarda le comunicazioni tra INPS e utenti, forse a causa della distanza tra i due paesi, che sicuramente dovrebbero essere migliorate: capita spesso che l’INPS prenda decisioni, come la decurtazione di una pensione, senza fornire le necessarie spiegazioni”.
In generale, però, molte delle ‘preoccupazioni burocratiche’ vengono facilmente risolte grazie al supporto del patronato e dei servizi territoriali.
“La complessità burocratica è il grande spauracchio per gli italiani che si trasferiscono qui, prima di capire che in Australia, come in altri paesi, le procedure sono molto più snelle rispetto all’Italia, dove la burocrazia rimane complicata e richiede spesso l’intervento di esperti. Qui a volte diamo solo un supporto iniziale, ma poi gli utenti scoprono che basta compilare un modulo online sul sito di Services Australia per ottenere con facilità e velocemente un congedo di maternità o un sussidio di disoccupazione”.
Tornare in Italia?
Se i casi citati finora riguardano prevalentemente chi fa richiesta di pensione in Australia, come si muovono coloro che invece, dopo alcuni anni di lavoro in Australia decidono di tornare in Italia?
“Possono scegliere se attendere l’età pensionabile – 67 anni e con un minimo di dieci anni di residenza permanente – e chiedere il contributo pensionistico dall’ente australiano e dai fondi privati. Ovviamente i fondi privati hanno dei costi, e lasciare i contributi in questi dispositivi per dieci o vent’anni senza versare più nulla significa veder erodere il proprio patrimonio. Per questo motivo molte persone scelgono di ritirare questi contributi prima della partenza perché spesso risulta comunque più conveniente, nonostante l’alta tassazione prevista che, in alcuni casi, può arrivare anche al 65%. Questa situazione è diffusa tra coloro che hanno visti temporanei, come i cosiddetti ‘working holidays’ di 12 mesi rinnovabili o permessi studio, che difficilmente si trasformano in visti permanent resident, anche perchè oggi ottenere un visto permanente in Australia non è per nulla semplice. Un giovane che lavora in Australia per due o tre anni, normalmente sceglie di ritirare i contributi versati nel fondo privato; inoltre, dovrà tenere in considerazione che, senza aver mai ottenuto il visto di residenza permanente, la convenzione Italia-Australia non è utile per lui o per lei, di conseguenza gli anni lavorati in Australia non saranno considerati per raggiungere gli anni minimi di contribuzione previsti dall’Italia”.
Ci si chiede quindi, se il patronato ha sovente a che fare con persone che, ormai in prossimità del pensionamento, decidono di tornare nel proprio paese di origine.
“Vivo in Australia ormai da quasi otto anni e, anche grazie al mio lavoro, ho conosciuto tante persone. Devo ammettere che gli italiani che ormai vivono qui da decenni difficilmente decidono di tornare in Italia con il raggiungimento dell’età pensionabile.
Ormai hanno costruito qui la loro vita, una nuova rete sociale e in alcuni casi una famiglia. Con il passare degli anni, il legame affettivo e familiare con il paese ospitante rende difficile il ritorno e le nuove radici sono spesso più forti del richiamo dell’Italia.
E, anche per i più giovani o miei coetanei, devo dire che l’Australia non è più solo il luogo per un’esperienza transitoria, ma spesso e volentieri diventa il posto ideale dove vivere. Nonostante la distanza da casa, la sicurezza economica e lavorativa che offre rende ardua la scelta di rientrare in Italia, che oggi purtroppo non offre le stesse condizioni”.
Rivivere la migrazione
Nadia lavora al Patronato ITAL-UIL da tre anni. “Mi sono trasferita in Australia otto anni fa per seguire il mio compagno e inizialmente ho lavorato nel settore della ristorazione”, racconta. “In Italia ero impiegata nel settore amministrativo, ma la cucina era la mia passione. Il lavoro al patronato è arrivato quasi per caso: mi sono rivolta a ITAl-UIL per avere informazioni sulla mia situazione contributiva e, per una serie di coincidenze, mi hanno offerto un lavoro che ho accettato.
Oltre all’importanza del servizio che offriamo, un aspetto che amo di questo lavoro è il contatto con le persone; spesso si tratta di anziane e anziani arrivati in Australia negli anni 50 e 60, che mi raccontano le loro storie e che ascolto con grande interesse: storie di gente che ha contribuito alla crescita di questo paese, di viaggi in nave che duravano mesi prima di vedere terra, di episodi di razzismo da parte degli inglesi verso gli italiani e di tante altre testimonianze di resilienza.
Credo che oggi rappresentino un patrimonio umano, culturale e storico prezioso, sia per il paese d’origine sia per la terra che li ha accolti”.