Lutto e mobilità: l’elaborazione della “perdita” come denominatore comune

Il trasferimento all’estero è un processo che per alcuni aspetti ricorda quello del lutto, nonostante le differenze individuali nelle traiettorie di espatrio.

Il lutto è un passaggio obbligato nella vita di ogni essere umano. Eppure, c’è chi si trova ad attraversare la vita adulta senza aver mai sperimentato quest’esperienza, e la prima volta che si ritrova davanti a un tale evento, rimane spiazzato. In realtà, il lutto, inteso come senso di perdita, è universale e ci appartiene nel profondo.

Lutto e mobilità: l’elaborazione della “perdita” come denominatore comune 

Già Freud parlava dell’importanza del lutto, definendolo come un processo necessario a superare la perdita della persona amata attraverso un percorso graduale. Il termine del processo di elaborazione del lutto, per Freud, coincide con la capacità di ritrovare un equilibrio emotivo e di investire risorse affettive verso altre persone, cioè poter stabilire nuove e profonde relazioni con altri.

Risiedere in un paese straniero, con diversi codici culturali di espressione del dolore e la lontananza fisica, potrebbe rendere l’elaborazione luttuosa più difficile, soprattutto per la mancanza della rete culturale e delle relazioni sociali di supporto in un momento di vita delicato come quello che si attraversa quando si perde una persona amata.

Quando si decide di trasferirsi all’estero, è quasi inevitabile che si verifichi un processo che ricorda quello del lutto. Così come la perdita di una persona cara ci mette di fronte a un addio, anche l’abbandono del proprio Paese, della propria comunità e dell’ambiente familiare lo richiedono. L’espatrio è, per molti versi, una piccola forma di lutto. Delfina Licata, sociologa delle migrazioni, ne parla nei termini di “lutto migratorio”.

Attraverso una serie di articoli dedicati, Transiti vi accompagnerà in questo percorso di conoscenza del lutto, affrontando da diversi punti di vista il tema della perdita e della morte nelle traiettorie di vita all’estero, tracciando analogie e restituendo nuovi insight verso un argomento, spesso considerato tabù, che forma parte intrinseca e ineluttabile delle nostre esistenze.

Cercando una definizione psicologica di “lutto”

A livello biologico, verso i due anni, siamo soggetti a un fenomeno che si chiama “apoptosi neuronale”, un processo in cui tutti i neuroni (di cui, alla nascita, siamo provvisti in sovrabbondanza) che non hanno stretto “legami”, muoiono. Potremmo dire, quindi, che alla perdita siamo abituati fin dalla nostra infanzia. La grande differenza tra il perdere “qualcosa”  e il perdere “qualcuno”, però, risiede nella parola “legame”.

Lutto e perdita fanno parte della natura umana, così come il disperarsi dopo ogni perdita. Vi é mai capitato di perdere quell’oggetto a cui eravate molto legati, e il cui ricordo ogni tanto fa capolino nella mente, portando con sé emozioni come nostalgia, tristezza, ma anche tenerezza, memorie, affetto?

La parola lutto, secondo Treccani, deriva dal latino lūctus e significa “piangere, essere in lutto”. Sempre Treccani differenzia il termine “lutto” in diverse voci. Nella prima, il lutto è presentato nella sua duplice natura di a) sentimento profondo di dolore e b) lutto come usanza, culturalmente connotata, di esteriorizzare il dolore. Nella seconda voce lo descrive con significato di “dolore, condizione dolorosa”. Nella terza voce, il termine è presentato nella sua accezione psicologica di processo (c).

Il lutto, pertanto, non è solamente una condizione interna di dolore, ma anche un’esternazione culturalmente determinata di quel dolore. Il lutto è un fatto sociale. Anche se, rispetto al passato, le “regole” del lutto, le sue convenzioni, (portare vesti nere per un anno se si é il coniuge o la prole della persona defunta, per esempio) sono meno rigidamente rispettate, il lutto resta un evento comunitario. Il funerale, la cerimonia, lo stringersi insieme, rimangono rituali collettivi importanti per la sua stessa elaborazione e “digestione”.

Strade diverse per “elaborare il lutto”

Cosa si intende per “elaborare un lutto”? 

La perdita di una persona con cui si è stretto un legame relazionale intimo lascia disorientati avvolgendoci in un immenso dolore, poiché quel legame non potrà più tornare. La sofferenza può sembrare insormontabile, così come il rientrare in contatto con la vita di tutti i giorni: è inimmaginabile tornare al lavoro, al divertimento, a coltivare gli altri legami della nostra vita. Altre volte, ad esempio dopo una lunga e dolorosa malattia della persona amata, potremmo sentirci sollevati, e quel sollievo potrebbe portarci a sentimenti di confusione e colpa. In altre circostanze, come ad esempio quando assistiamo una persona con demenza, il lutto si propone in modi diversi: in un primo momento ha come oggetto la perdita della “mente” della persona amata e, in una seconda fase, la sua morte fisica. 

Come possiamo immaginare, ci sono tanti lutti diversi in base alle circostanze della morte stessa e della relazione che avevamo con la persona defunta.

Qualche volta essere consapevoli che c’è una “fine” a questo dolore può portarci ancora di più alla disperazione, perché inconsciamente leghiamo l’attenuarsi della sofferenza al dimenticare la persona amata dipartita o, peggio, alla svalutazione del legame speciale che si era creato. Inizialmente, soffrire è il modo migliore per ricordare e stabilire quanto fosse unico il legame con la persona defunta. In alcune culture, i più vicini a essa si lasciano andare a lunghi e rumorosi pianti e litanie per affermare il loro profondo legame.

In quanto processo, e per quanto possa sembrare impossibile, il lutto ha dei tempi. Elaborare il lutto non significa dimenticarsi della persona amata, ma poterla ricordare senza per forza percepire quel dolore straziante. I momenti di elaborazione del lutto variano da persona a persona. In psicologia si è stabilito, convenzionalmente, che un lutto possa essere problematico e richiedere l’attenzione di un* professionist* della salute mentale, quando, a circa un anno dall’evento di perdita, risulta ancora molto difficile tornare a una buona qualità di vita.

Un modello – fra i possibili – di fasi di elaborazione del lutto

Kübler-Ross, psichiatra svizzera, grazie alla sua esperienza clinica, definisce il processo del lutto come un passaggio a cinque fasi, specificando che questi stadi non sono tappe obbligatorie. Al contrario, possiamo leggerli come possibili stati d’animo in cui potremmo transitare, e ri-transitare, durante il processo del lutto, che potrebbe variare da qualche settimana fino a circa un anno. 

Quello di Kübler-Ross è uno dei modelli possibili, ma non l’unico, per dare senso a sensazioni e movimenti che si potrebbero attraversare durante il lutto, così come spesso si tende a semplificare l’espatrio in una serie di fasi prestabilite e statiche: partenza, permanenza, rientro. In realtà, questa classificazione non riesce a dar conto della complessità del processo migratorio, che per ciascuno si sviluppa secondo traiettorie personali e spesso imprevedibili. 

Una delle possibili prime sensazioni che ci ritroviamo ad affrontare è il senso di negazione e di incredulità che proviamo quando affrontiamo una tale perdita. Questo stato di shock può essere attenuato o non comparire affatto se, per esempio, abbiamo accompagnato la persona nel corso di una lunga malattia; oppure può essere maggiormente accentuata se ci ritroviamo lontano dalle persone amate. Per esempio, vivendo all’estero potrebbe risultare più semplice essere portati a negare o a “dimenticare” la morte di qualcuno, perché la vita quotidiana ne risente meno e perché é semplice pensarla nei termini di qualcosa avvenuto a distanza, “in quel luogo altro”. 

A volte, ma non sempre e non per forza in questo particolare ordine, potremmo ritrovarci a provare sentimenti di rabbia diretta verso la persona amata “per averci abbandonato” o verso la situazione; per esempio, durante la pandemia da Covid-19 la rabbia era indirizzata verso questo avvenimento inusuale e inaspettato o verso le istituzioni per non aver gestito l’epidemia in modo più efficiente. A volte, la rabbia potrebbe essere riferita a noi stessi: potremmo sentirci in colpa per “non aver fatto abbastanza”. Questa forte emozione porta spesso le persone a iniziare una sorta di “contrattazione” con il fato, con se stessi o con le proprie credenze, per poter avere indietro un pezzettino di quello che abbiamo perso. Alcune persone all’estero potrebbero rivalutare la propria situazione e considerare di tornare a casa per scongiurare altre situazioni simili o per il desiderio di essere vicino ai familiari. Chi si trova in questo frangente temporale sperimenta sensazioni contrastanti; la rabbia è utile e funzionale al non provare unicamente il dolore e la disperazione che si sentono in una fase depressiva, in cui può essere più difficile accettare l’aiuto di qualcuno o le consolazioni degli amici. Spesso è difficile riuscire a pensarsi nuovamente “ok” e capaci di affezionarsi a qualcuno. E’ uno dei passaggi più dolorosi del processo, al quale ci stavamo piano piano, e inconsciamente, preparando, transitando nei diversi stati d’animo. 

Arriva, infine, l’accettazione. Questo senso di “fare pace” con l’evento della perdita può essere sperimentato a “onde”, può andare e venire; qualche volta, invece, ci serve molto tempo per poter sentirci in pace rispetto a un evento così devastante. In questo stato d’animo siamo capaci di ricordare la persona amata e accedere alla vasta gamma di  emozioni legate ai ricordi, soprattutto positivi, che abbiamo condiviso con lei.

Ripensare i modelli di elaborazione del lutto

Come abbiamo già ricordato, l’elaborazione del lutto non é così lineare ed organizzata come Kübler-Ross l’ha esposta. Gli stati d’animo che si attraversano in questo processo e identificati come “fasi”, possono essere descritti piuttosto come “momenti” che potrebbero avvicendarsi durante una stessa giornata, nell’arco di poche ore, oppure in un arco di tempo molto più esteso. Ciascuno ha una propria reazione personale e autentica, diversa anche per ogni perdita che affrontiamo: le gradazioni sono molteplici, i confini di questi momenti sfumati. È importante poter trovare un nome e un senso a quello che sentiamo per attraversare questo doloroso processo al tempo stesso così universale e personale del lutto.

In sintesi, questi sono i possibili movimenti teorizzati da Kübler-Ross, posti in relazione con le esperienze di mobilità internazionale:

Movimenti di Negazione – Quando ci “si dimentica” o si evita che cosa è successo. Questo movimento é importante per proteggerci da un dolore paralizzante e permetterci, per esempio, di andare a lavorare, di continuare a vivere. 

Movimenti di Rabbia – Anche la rabbia può essere una difesa dal dolore. La rabbia può essere diretta verso la situazione, gli altri o sé stessi o verso la persona che abbiamo perso per “averci abbandonato”. Rispetto alla mobilità pensiamo, per esempio, alla rabbia che possiamo dirigere verso il nuovo contesto – anche verso piccoli aspetti della quotidianità che ci irritano e che fatichiamo ad accettare – quando non abbiamo ancora elaborato o “fatto pace” con l’idea di esserci separati dal paese di origine: per difendersi dalla sofferenza che ne consegue si potrebbe tendere a svalutare le caratteristiche culturali non riconosciute come familiari, come “nostre”. 

Movimenti di Contrattazione – Quando cerchiamo di fare compromessi o “contratti” nel tentativo di evitare la perdita o ridurre il dolore, spesso rivolgendoci a entità superiori o ripensando a cosa avrebbe potuto andare diversamente. Altre volte questi movimenti spingono a rivalutare la propria vita e le proprie priorità. Questo può essere vero in particolare per la vita all’estero: il lutto ci mette davanti alle nostre scelte e ci ricorda che non siamo immortali. 

Movimenti di Depressione – Quando si affronta il peso della perdita con tristezza e senso di vuoto. Questi movimenti sono i più importanti in termini di impatto e i più dolorosi. 

Movimenti di Accettazione – Quando ci sentiamo “in pace” con quanto accaduto. Spesso quando ci sentiamo così riusciamo ad accedere ai ricordi più felici dei momenti passati insieme alla persona che abbiamo perso. L’accettazione può portare con sé sentimenti di nostalgia, felicità, serenità, consapevolezza, tristezza, gioia e così via.