Mobilità femminile: la storia di Nicoletta Milanesio Berrino tra leadership e affetti, senza compromessi

Nicoletta vive a pochi passi dall’8 Mile, la via che ha dato il titolo alla canzone più famosa di Eminem e ha fatto da palcoscenico alla sua storia di riscatto. Anche lei, in un certo senso, ha lottato per trovare il suo posto nel mondo. You can do anything you set your mind to, man”, canta il rapper americano. E lei sembra aver fatto di queste parole il suo mantra, affrontando ogni sfida con una determinazione incrollabile. 

La finestra di Google Meet in cui ci incontriamo è una sorta di miniatura del suo mondo, un’istantanea di interessi e passioni di una vita vissuta a tutto tondo. Sullo sfondo i mobili di antiquariato acquistati tra i garage sales dei sobborghi di Detroit, sugli scaffali tanti libri che spaziano da manuali di leadership a romanzi gialli, alle pareti le foto dei suoi viaggi intorno al mondo e i disegni dei suoi figli. Se fossimo in presenza sentirei anche il profumo della focaccia appena sfornata.

Una vertiginosa traiettoria di espatrio

Nicoletta è una brillante avvocata torinese con una carriera ben avviata quando – nel 2003 – incontra quello che diventerà suo marito, un professionista spesso in viaggio oltreoceano per lavoro. Tra i due nasce una storia intensa, in cui bisogna imparare presto a fare i conti con la distanza.

Quando le chiedo di raccontarmi le tappe principali del suo percorso di mobilità, Nicoletta parte dal 2010, quando – per lui – si presenta l’opportunità di trasferirsi per due anni negli Stati Uniti, in Texas. Nicoletta, come la più classica delle trailing spouses, mette in pausa la sua carriera e prepara le valigie, pronta a seguire l’uomo che ama con i loro due bambini, di appena quattro e due anni.

Ma la partenza è segnata da un dolore profondo. A una settimana dal volo, perde suo padre. Il lutto si intreccia al trambusto emotivo del trasloco, trasformando quel momento già carico di aspettative e timori in un passaggio ancora più delicato.

In Texas, il sole scalda l’anima e i ritmi di vita rallentano. Per la prima volta, Nicoletta può dedicarsi completamente alla famiglia e ha tanto tempo libero. Ma quella libertà iniziale lascia presto spazio a una frustrazione sottile, silenziosa, che cresce giorno dopo giorno.
“Ero passata da negoziare contratti di milioni di dollari a negoziare con mia figlia su quali calze dovesse indossare”, racconta. Si sente come il soggetto sfocato in un bellissimo quadro. Decide allora di rimettersi in gioco e approfitta di quel tempo sospeso per rimettersi a studiare e si iscrive a un Master in Business Administration. Una scelta che segna il primo passo verso una rinascita personale e professionale.

Nel 2012, una nuova proposta lavorativa per il marito li porta nel profondo Sud degli Stati Uniti, in Tennessee, in una cittadina che Nicoletta descrive con l’espressione “Dio, Patria e Armi.” È qui che attraversa il periodo più duro e trasformativo della sua esperienza all’estero. Lontana dal lavoro e immersa in un contesto sociale e culturale lontano dai suoi valori, arriva a una consapevolezza dolorosa: “La mia vita non mi somigliava più.”
“Senza amore non lievitava neanche il pane”, ammette. Decide allora di dare una  svolta. Si dimette ufficialmente dal suo impiego in Italia e, a 41 anni, decide di iscriversi all’Università per ottenere l’abilitazione legale negli Stati Uniti.

Le giornate diventano molto faticose: lezioni, studio dopo cena, preparazione all’esame di Stato e pratica legale da conciliare con la cura dei figli. Ma la determinazione non la abbandona. E, alla fine, viene premiata.

Nel 2015 arriva un’offerta di lavoro per lei in Michigan, a Detroit. Questa volta è il marito a seguirla. Non ero più al traino, ognuno aveva finalmente il suo carro, dice con orgoglio. Da quel momento, la sua carriera decolla e anche la sua identità professionale trova spazio, respiro e riconoscimento.  Negli anni successivi, entra in un’azienda che le permette di crescere, in un ambiente che sostiene il benessere dei dipendenti con orari flessibili e una cultura basata sulla fiducia. Finalmente Nicoletta si sente di nuovo professionalmente a casa.

Trailing spouse, accompanying partner, traveling person

Attualmente, Nicoletta vive tra gli Stati Uniti e l’Italia, alternando 7 mesi a Detroit e 5 mesi a Treviso

Le chiedo come sia arrivata a questa configurazione così insolita, e la sua risposta arriva diretta, con la naturalezza di chi ha imparato a navigare l’incertezza con grazia.

Nel 2020 mio marito ha ricevuto un’offerta di lavoro a Treviso e, ancora una volta, ci siamo trovati davanti alla solita domanda: ‘Cosa facciamo?’ Entrambi avevamo sempre custodito il desiderio di tornare in Italia, prima o poi. Ma proprio in quel momento, per me era arrivata una promozione importante, il coronamento di tanti sacrifici, di anni di ricostruzione personale e professionale. E così ci siamo detti: ‘We will figure it out’. Mio marito e i bambini sono partiti, e io ho scelto di rimanere, di posticipare il mio rientro. Dovevo completare il mio percorso.

Quel “rientro” non è ancora avvenuto. Nel frattempo il mondo è stato colpito da una pandemia globale, che Nicoletta ha affrontato negli Stati Uniti –  isolata tra le mura di casa con due ragazzini – mentre il marito era distante migliaia di chilometri. Ma nemmeno questo le ha fatto cambiare idea. Ha tenuto duro, da trailing spouse a accompanying partner, fino a diventare una vera e propria traveling person. Oggi è Director of Legal, General Counsel and Corporate Secretary per il Nord America di un’importante azienda che si occupa di Automotive e vive tra due mondi, collezionando buffe sleep masks tra un volo e l’altro.

Famiglia o carriera? Famiglia “e” carriera.

Quando avevo pensato di intervistare Nicoletta, immaginavo che avremmo parlato di strategie di leadership al femminile, di come costruire una carriera solida in ambienti a predominanza maschile. Ma mentre parliamo, il successo lavorativo  non mi sembra l’aspetto più importante e mi rendo conto che il vero cuore della nostra conversazione è un altro: è il modo in cui l’identità personale e professionale si intrecciano e si nutrono a vicenda.

Nicoletta racconta con lucidità quanto sentirsi “al traino” possa compromettere il benessere psicologico. Il passaggio da un ruolo professionale appagante al sentirsi definita solo come madre e moglie ha eroso, a lungo, il suo senso di sé. “Il disallineamento tra ciò che sei e ciò che fai ti logora”, dice. Possono innescarsi vissuti di inutilità, isolamento, e perfino vergogna, spesso taciuti o minimizzati, perché le esperienze all’estero vengono troppo spesso romanticizzate, come se fossero solo un privilegio.

Eppure Nicoletta non si è lasciata travolgere. Ha trasformato quel malessere in un’occasione di crescita. Ha deciso di reinvestire su di sé, con coraggio, pazienza e ostinazione.

Dal nostro scambio emerge forte l’importanza di una dimensione individuale che vada oltre il ruolo familiare, una linfa vitale che la sua famiglia ha imparato a riconoscere, supportare e valorizzare. E nonostante la sua determinazione – che è lampante – Nicoletta sottolinea anche quanto sia stato fondamentale, nel tempo, imparare a chiedere aiuto e fare affidamento su una rete di supporto.

Durante la nostra chiacchierata, Nicoletta si commuove più volte. Quando parla dei sensi di colpa verso la figlia maggiore, per anni la sua più severa giudice e oggi la  sua più grande alleata. Quando si interroga su che tipo di uomo stia diventando suo figlio adolescente, cresciuto accanto a una madre così poco convenzionale.

Si infervora, invece, quando sottolinea l’asimmetria nei giudizi sociali. “A un uomo nessuno chiede dove ha lasciato i figli,” e quando mi racconta di quanta solitudine e nostalgia possano nascondersi dietro ogni “Beata te” pronunciato con superficialità.

Il giudizio accompagna ogni deviazione dalla norma. Le pressioni sociali e culturali legate alla maternità e alla carriera si aggiungono ai commenti riguardo alla sua relazione. “Abbiamo imparato a farci scivolare addosso le critiche. Quest’anno festeggeremo 20 anni di un equilibrio costruito insieme,” racconta con orgoglio.

Alla fine, le chiedo cosa direbbe a una donna nella sua stessa situazione di partenza. Nicoletta sorride, poi risponde senza esitazioni Non nascondete la vostra diversità. È quella che vi farà arrivare dove volete. L’espatrio è come un master: avete già lasciato affetti e certezze per ricominciare da capo.  Il modo in cui ragionate è più importante della lingua. Trust the process!

Questo articolo fa parte di una piccola serie sul benessere psicologico in mobilità internazionale, pensata per chi si trova in una traiettoria d’espatrio ma anche per chi quella traiettoria la osserva, talvolta da lontano.