“Case d’Italia” sparse per il mondo: gli Istituti Italiani di Cultura raccontati da Francesco Neri

Intervista a Francesco Neri, Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Atene, per scoprire il ruolo degli Istituti per le comunità italiane nel mondo.

Bologna, Roma, Lussemburgo, Marsiglia, di nuovo Roma, infine Atene. Un tragitto di migrazione articolato, che comprende sia spostamenti all’interno dello stesso paese, l’Italia, che da e verso l’estero. 

Il disegno sulla cartina geografica è il risultato di movimenti avvenuti per perseguire una carriera particolare: Francesco Neri è Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Atene, e ha ricoperto questo ruolo anche negli altri paesi europei toccati nella sua esperienza migratoria. La sua è una professione poco conosciuta, che ha molto a che fare con l’espatrio e che, per forza di cose, rende a propria volta migrante chi la svolge. “Il mio percorso di espatrio si intreccia con la carriera di Direttore di vari Istituti”, racconta. 

Ma, prima di seguirlo in questo vorticoso giro d’Europa, procediamo con calma, iniziando dalle basi. Che cos’è un Istituto Italiano di Cultura (IIC)? 

Gli Istituti Italiani di Cultura (IIC) nel mondo

“Così come le Ambasciate, gli Istituti Italiani di Cultura sono uffici del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), fanno parte della stessa rete”. Sono 88 nel mondo e rappresentano luoghi di incontro per chiunque desideri coltivare una relazione con l’Italia da un paese estero. 

Neri riassume così il ruolo degli IIC: Gli Istituti nascono tutti per due scopi: in passato soprattutto per fare in modo che le comunità italiane all’estero potessero mantenere un legame diretto con la propria lingua madre e cultura. Quindi, per diffondere la lingua e la cultura italiana in altri paesi, anche presso persone che non sono italiane o di origine italiana”. In che modo? “Attraverso le attività più diverse: principalmente l’offerta di corsi di lingua italiana e l’organizzazione di eventi di arte, cinema, letteratura etc.”, ma anche promuovendo la cultura scientifica dell’Italia, coordinando una rete di biblioteche, facilitando contatti tra operatori culturali italiani e non, come cita la pagina dedicata sul sito del MAECI. 

A ciascuna comunità italiana il proprio Istituto

Paese che vai, comunità italiana che trovi: “Nella mia esperienza ho visto alcune realtà molto diverse. Sono stato prima in Lussemburgo e poi a Marsiglia, luoghi in cui le comunità italiane, in particolare di lavoratori, sono antiche – risalgono alla fine dell’Ottocento – e numericamente molto estese. In Grecia esiste una presenza italiana a partire da quell’epoca, ma sicuramente non con gli stessi numeri”.

Dalla prospettiva di Neri, “Il Lussemburgo è un paese molto piccolo ma estremamente cosmopolita, per metà popolato da espatriati, prevalentemente persone che lavorano per istituzioni europee o per società, banche etc. C’è un continuo ricambio. Quando ero Direttore lì, mi capitava molto spesso di vedere arrivare ‘nuovi italiani’, insieme a persone provenienti da molte altre nazioni. Molti ripartivano, restavano poco, si spostavano rapidamente verso altre mete. C’erano però anche discendenti di immigrati italiani arrivati oltre 100 anni fa, stabilitisi lì”. 

“A Marsiglia, invece, la comunità dei discendenti è vastissima, lo si capisce dai cognomi italiani in cui si incappa frequentemente. Rimane una forte influenza italiana, la città ha assimilato tanti elementi che si mescolano nella sua atmosfera vibrante. Mi ha colpito ritrovare caratteristiche che richiamano molto altre città italiane dal punto di vista sensoriale, soprattutto visivo, olfattivo, di sapori. L’Italia si ritrova in ricette e tradizioni, ma anche in scorci urbani. A Marsiglia frequentαvano l’IIC soprattutto discendenti che volevano imparare la lingua, magari perché era quella dei loro nonni o perché la sentivano parlare da bambini. Questa presenza antica, quindi, nei discendenti si rinnova, anche attraverso storie emotivamente toccanti, di persone che desiderano mantenere un legame con le origini”.

Al contrario, “In Grecia questo aspetto c’è meno, la comunità italiana è più piccola. Ci sono persone italiane che vivono qui e frequentano l’Istituto, e poi molte persone greche. L’aspetto interessante è che molte di loro fino agli anni ‘80 hanno studiato in Italia, parlano bene l’italiano, hanno ancora legami. Avendo trascorso parte della loro vita lì frequentando l’università o lavorando, si sentono in parte italiane. E’ un tipo di relazione diverso, ma la presenza di un forte legame con l’Italia è innegabile”. 

Ben oltre una visione campanilistica ed esclusiva della cultura italiana gli Istituti assolvono, quindi, a una funzione di riconoscimento attraverso l’identificazione di radici condivise: radici genealogiche e pertanto storicamente reali oppure radici italiane percepite, ma non per questo meno autentiche. “E’ questa radice di italianità che accomuna e permette di sentirsi a casa”, afferma Neri.

Dirigere un Istituto Italiano di Cultura: parole d’ordine, spirito di adattamento e flessibilità 

Una mobilità che si rigenera costantemente in Lussemburgo, la presenza italiana che si rinnova nella discendenza a Marsiglia, una componente italiana originaria e una acquisita nella comunità italo-greca di Atene. E, in base alla specificità di ogni contesto e alla conformazione della comunità italiana, Neri descrive come ciascun Istituto scelga come declinare la propria offerta culturale. 

“Molto dipende dall’età della comunità italiana. Per esempio, in Lussemburgo c’è un pubblico di persone italiane di migrazione molto recente, che sono nel paese da poco tempo e quindi hanno ancora un forte legame con l’Italia. Molte hanno anche già in mente, magari, di rientrare dopo non troppo tempo. In questo caso, come Istituto, si possono proporre iniziative anche ‘molto italiane’, per esempio invitando figure conosciute da chi vive al momento in Italia. Sarebbe più difficile proporre un’iniziativa simile in un paese che non conosce personalità del panorama culturale italiano attuale”. 

Un po’ di flessibilità e spirito di adattamento sono, quindi, cruciali: “Le iniziative cambiano e, forse, una delle cose più importanti per chi dirige è proprio la capacità di adattarsi, di non essere troppo rigidi rispetto alle idee di partenza, di lasciarsi stupire e un po’ guidare dalla comunità stessa, da quello che desidera e da ciò di cui ha bisogno”. 

Ma come si arriva a dirigere un Istituto Italiano di Cultura? Neri racconta il proprio itinerario: gli studi di storia antica all’università, poi un percorso di dottorato. 

Non avevo le idee molto chiare su che cosa avrei fatto dopo. Ho sempre avuto un certo interesse per l’estero. In questo senso, la svolta nella mia vita è avvenuta quando ho passato un anno in Germania con il progetto Erasmus. Quell’esperienza mi ha fatto scoprire quanto mi interessasse vivere in un ambiente differente, conoscere un’altra lingua, entrare in contatto con nuovi stimoli culturali”, racconta. Per Neri, quindi, come per molti altri giovani, l’Erasmus è stata quella prima esperienza di mobilità che gli ha permesso di proiettarsi verso l’internazionalità, caratteristica che diventerà elemento essenziale del suo futuro lavorativo.

“Uscì un concorso per diventare Direttore d’Istituto, e il suo esito positivo mi portò a trasferirmi da Bologna, la mia città, a Roma, poi da Roma in Lussemburgo, a Marsiglia, di nuovo a Roma per due anni e infine ad Atene, nel 2022, dove mi trovo tuttora. Periodicamente, quando esce un concorso per la Direzione di una sede, si può fare domanda di trasferimento”.  

Ancor prima di diventare Direttore, la sua scelta di carriera è stata incoraggiata dai racconti di colleghe e colleghi: “Prima di ricoprire questo ruolo ho lavorato al Ministero per un po’ di tempo. L’immaginario rispetto agli IIC si è costruito a partire dai racconti di persone che lavoravano con me: ciascuno raccontava la propria prospettiva sull’Istituto di un paese diverso. Una cosa che ho percepito e che ho raccolto attraverso questi racconti era anche l’aspetto che potenzialmente mi interessava di più di questo lavoro: avere contatto con l’esterno, avere possibilità di conoscere persone che fanno le cose più svariate. Gli Istituti ti permettono proprio questo: conoscere persone che in ambito culturale, ma non solo, fanno cose molto diverse, è uno stimolo continuo. Questa è l’impressione che ho avuto dai racconti e che poi ho riscontrato anche nella mia esperienza. Magari ci si deve occupare di cose che fino al giorno prima si ignoravano, e allora lavorare per gli Istituti diventa l’occasione per conoscere mondi”. 

Anche se sono anni che fa questo lavoro, nelle parole di Neri si sentono entusiasmo, sete di curiosità e conoscenza genuine. “Stupirsi in senso positivo, arrivare in un luogo con un’idea da proporre… magari si scopre che non funziona, ma che c’è qualcos’altro che interessa e piace a quella specifica comunità. Mi piace stupirmi in questo senso, rimettere in discussione i miei preconcetti e aspettative”.

Una “Casa d’Italia” ad Atene 

Una delle funzioni principali degli IIC per le comunità italiane all’estero è quella di accogliere, raccogliere, aggregare. In risposta alla conformazione particolare della comunità greco-ateniese, in parte “originaria e in parte acquisita”, l’Istituto sotto la Direzione di Neri propone principalmente due linee di attività: l’insegnamento della lingua italiana, rivolta in prevalenza a un pubblico greco, accanto a iniziative culturali di varia natura, quali le presentazioni di mostre, libri, film. 

“Per gli ateniesi di una certa età, il nome della nostra sede è rimasto ‘Casa d’Italia’, appellativo originario dagli anni ‘30. E’ importante che chi desidera avere un contatto e un incontro con il nostro paese possa farlo in un posto sentito come casa, incontrando anche altre persone della comunità”.

Fondamentali, inoltre, le collaborazioni con altre realtà del territorio e di rappresentanza delle persone italiane all’estero, per esempio attraverso la promozione di alcune iniziative lanciate dal Comites Grecia. “Abbiamo frequentatori e frequentatrici di età eterogenee. Lo sforzo è sempre quello di allargare il pubblico e andare a toccare anche fasce più giovani. Abbiamo una buona collaborazione con l’università, per cui anche studenti di italianistica si avvicinano a noi. Ad Atene, inoltre, esiste una scuola statale italiana (SC.IT.AT.), una delle poche, sono circa 8 in tutto il mondo, con cui c’è da sempre una collaborazione attiva. L’altra particolarità di Atene è la presenza della scuola archeologica italiana (SAIA), la più antica istituzione italiana in Grecia. Abbiamo un pubblico più o meno fisso, che partecipa a varie attività che proponiamo, accanto ad altre persone che si avvicinano all’IIC per uno specifico evento e che non lo frequentano abitualmente. La mescolanza umana che si crea è molto interessante”. 

Inoltre, rispetto ad altri paesi, l’articolata rete di Istituzioni italiane ad Atene può rappresentare un supporto per chi si trasferisce, come dimostra, per esempio, il sistema di solidarietà del Co.As.It. (Comitato Assistenza Italiani).

L’IIC come presidio per il benessere psicologico delle comunità italiane all’estero

La Casa d’Italia ad Atene ha “dato casa” nella capitale greca anche a Transiti, per una presentazione di “Traiettorie. Guida psicologica all’espatrio” nel giugno 2024. La collaborazione si è inserita nell’ambito di iniziative che promuovono il benessere psicologico delle comunità italiane all’estero, stimolando il dialogo a partire dall’idea alla base del libro: l’espatrio non è solo uno spostamento concreto, ma un processo che risponde a dei movimenti interiori: spinte, aspettative, pulsioni, motivazioni, fattori push and pull che portano le persone a muoversi e modificare la loro esistenza, la loro traiettoria esistenziale, a cercare altre “case” nel mondo. 

“A mia volta, da lettore del libro, ho apprezzato che si legassero i momenti principali dei trasferimenti all’estero ai movimenti principali della nostra interiorità: i conflitti che sperimentiamo, le dinamiche di relazione con le nostre famiglie di origine, con i luoghi, con il tema del ritorno. Ho ritrovato cose che ho vissuto personalmente. Parlando di questi temi di fronte a persone che hanno vissuto la partenza e l’installazione in un altro paese, inevitabilmente si stimola una discussione, il pubblico trova facilmente una rispondenza, un corrispondenza. E’ quello che ho provato anch’io: sentirsi, riconoscersi in questo collegare l’espatrio a tanti momenti della vita, a tanti punti della nostra interiorità”. 

Quando si parla di migrazione, le “rispondenze e corrispondenze” a cui fa riferimento Neri si ritrovano tanto a livello del singolo quanto a livello comunitario: ci sono aspetti che si ripetono nelle storie di chi si muove, vissuti che si tramandano ed estendono. Sottolinearle significa fare spazio a un’idea di espatrio non riconducibile unicamente a un’impresa solitaria e rispondente solo a esigenze personali. L’espatrio è un fatto di comunità, e l’IIC lavora su questo livello, proponendo attività e iniziative che non sono solo rivolte agli individui; al contrario, hanno lo scopo di fare gruppo attorno all’elemento dell’italianità e al senso di appartenenza. 

“Una mia definizione personale dell’Istituto Italiano di Cultura? Questa è difficile davvero! Forse una definizione sintetica potrebbe essere quella che dicevo prima: ‘casa d’Italia’. Quando si entra in Istituto si entra in uno spazio italiano per tutti, anche se geograficamente delocalizzato dall’Italia, in cui ci si può sentire a casa propria e si possono incontrare le più diverse cose che vengono da lì”. 

Questo articolo fa parte di una piccola serie sul benessere psicologico in mobilità internazionale, pensata per chi si trova in una traiettoria d’espatrio ma anche per chi quella traiettoria la osserva, talvolta da lontano.