Partorire in UK: l’esperienza della maternità oltremanica  

Birth Plan, Shared parental leave, midwife e Birth Centers: il vocabolario da conoscere per partorire in Inghilterra e affrontare il periodo della maternità

partorire in Inghilterra

L’inizio di una gravidanza apre sempre un percorso ignoto a future mamme e papà, e scoprire di essere in attesa in un paese straniero può inizialmente portare qualche confusione in più.

Dopo l’emozione alla vista della magica linea del test acquistato in farmacia, a chi rivolgersi? Quale esami fare? Meglio affidarsi a un ginecologo o a un’ostetrica?

E come funzionano le strutture dedicate alla maternità? E l’allattamento?

Sono questi i dubbi delle italiane expat che si trovano a partorire in Inghilterra: dubbi che possono generare un po’ di ansia, come spesso accade quando il percorso proposto è differente da quello delle proprie coetanee nel paese di origine. 

Chi partorisce in UK deve conoscere il ruolo della midwife, destreggiarsi tra Birth Plan e la richiesta del Parental Leave, e in generale affidarsi al NHS – National Health Service – il più grande sistema sanitario in Europa che ha come unico finanziatore lo Stato.

Elisabetta, mamma di due bambini nati in UK, ci racconta la sua esperienza.

Partorire in Inghilterra: il prezioso supporto delle midwives 

“Ricordo benissimo il giorno in cui ho fatto il test di gravidanza” racconta Elisabetta. 

“Era la mia prima gravidanza e non sapevo assolutamente come procedere. Ho contattato il mio medico di base, per chiedere quale fosse la prassi da seguire. 

Lui si è gentilmente congratulato e davanti alle mie domande ha risposto ‘Non deve fare assolutamente nulla, solo aspettare!’.

La sua risposta mi ha lasciata sinceramente perplessa: credevo di dover correre a fare analisi e check sul mio stato di salute”.

In UK il servizio sanitario è totalmente gratuito, e generalmente per qualsiasi necessità devi fare riferimento al tuo medico di base. 

Un sistema che mira all’accesso alle cure da parte di tutti senza distinzioni di reddito, ma talvolta criticato – da expat e nativi –  per la riduzione, per ragioni economiche, dei piani di prevenzione.

“Una volta che il tuo GP Doctor – (General Practitioner doctor) apre la pratica, vieni messa in contatto con una midwife che ti seguirà per tutta la gravidanza e sarà il tuo punto di riferimento. All’inizio ero un po’ titubante: la professione della midwife non corrisponde esattamente alla quella dell’ostetrica, ma è ugualmente preparata per seguire le gravidanze fisiologiche, il parto e in generale il benessere della mamma e del bambino. 

Nel mio caso la midwife era una ragazza ventenne, quindi molto giovane. 

Mi sono però resa conto, successivamente, che l’età non conta: la mia diffidenza iniziale si è trasformata in fiducia nel giro di poco tempo, in quanto mi sono sempre trovata a mio agio e  mi sono sentita supportata da questa figura”. 

Visite a casa, poche ecografie 

“Tutte le informazioni sulla futura partoriente vengono registrate nel Blue Book (agenda di gravidanza).

Le visite della midwife seguono un calendario prestabilito e spesso avvengono a casa. 

Non hanno alcun carattere medico, ma consistono in una chiacchierata sullo stato di salute, in cui viene rilevato il battito e misurata la pancia, accorgimento che permette di verificare la crescita.

Al contrario di quello che si pensi, misurare la pancia non serve per controllare il peso anzi: prendere troppi chili non è considerato un problema se si segue una dieta sana. 

Le ecografie previste durante la gravidanza dal sono solo due: la prima, a 12 settimane, e la seconda (la cosiddetta morfologica) a 20.

Non viene invece effettuato alcun controllo nel terzo trimestre, il che lo trovo una mancanza, in quanto è utile per monitorare la crescita finale. Così ho scelto di farlo ugualmente, ma privatamente.

Più del 95% della popolazione in UK sceglie sempre il sistema pubblico. In generale funziona bene, ma dobbiamo anche considerare che, al di là di Londra, nelle realtà di provincia non è sempre facile trovare cliniche o studi medici privati, una realtà molto meno diffusa rispetto ad altri paesi”.

Prepararsi a diventare genitore

Anche l’organizzazione, l’approccio e le modalità dei corsi pre-parto variano a seconda dei  paesi.

“Normalmente consigliano di seguire un corso pre-parto che si svolge periodicamente nel quartiere di residenza, della durata di un pomeriggio o di un’intera giornata, ovviamente gratuito. Durante l’incontro spiegano cosa accade durante il travaglio, come avviene la fase di espulsione e vengono fornite informazioni base sull’allattamento. 

Sicuramente utile ma per me, alla prima esperienza, non soddisfava le mie aspettative e c’erano ancora molti aspetti che volevo approfondire: cercavo un percorso di accompagnamento alla nascita più completo, così mi sono iscritta ad un corso privato organizzato dall’NCT che é la principale charity per genitori in UK, e periodicamente propone corsi e incontri molto interessanti su bambini e genitorialità che ti permettono di affrontare anche altri aspetti utili, dal bagnetto ai pannolini lavabili, al training per il sonno o allo svezzamento. 

Oltre ad essere più completo, nel nostro caso è stato un ottimo modo per conoscere altre famiglie che vivevano nella zona e che stavano per diventare come noi genitori, ed intessere nuove amicizie”. 

Birth Centers, i luoghi del parto

Il programma “Choice” promosso dal sistema sanitario nazionale inglese garantisce la piena libertà alla donna di scegliere il luogo del parto. Sono le tre le opzioni più diffuse:

  • la struttura ospedaliera, in cui è possibile richiedere la somministrazione di anestetici e è consigliata per le gravidanze a rischio;
  • i centri nascita, in cui l’assistenza è fornita solo dalle midwives in un ambiente più naturale, più rilassante e piacevole, che esclude epidurale o interventi medici (per attenuare il dolore è concesso solo l’utilizzo del gas). I centri nascita possono trovarsi sia all’interno di una struttura ospedaliera ma anche in luoghi più isolati;
  • il proprio domicilio, con l’assistenza delle midwives.

“In generale le midwives cercano di non influenzare la tua scelta, anche se in caso di gravidanza fisiologica sono più favorevoli alla scelta di un ambiente più famigliare come la propria casa o il centro nascita” spiega Elisabetta. 

“Inoltre prima del parto ti viene richiesto di compilare il Birth Plan, un documento che viene inviato nella struttura in cui andrai a partorire. Si tratta di una formalità che in Italia non esiste, in cui sei tenuto a dichiarare le tue scelte prima del travaglio. Il motivo è quello di seguire la volontà della partoriente nei casi in cui la donna non è in grado di esprimersi e tiene in considerazione il fatto che durante il travaglio lo stato di coscienza è alterato”.

Finalmente, la nascita 

“Nel mio caso ho scelto il centro nascita all’interno di una struttura ospedaliera. Il travaglio è però durato 40 ore, e quando ho chiesto di andare nel reparto ospedaliero per chiedere l’anestesia attraverso l’epidurale, mi hanno detto che non era possibile, in quanto quella possibilità non era stata indicata nel Birth Plan, e la decisione indicata nel documento già depositato non era modificabile durante il travaglio. Sono sicura che se avessi insistito di piu’, mi avrebbero concesso il cambio.

Per fortuna non mi sono fatta prendere dallo sconforto, le midwives mi hanno motivata dicendomi che ero quasi alla fine e che ce l’avrei fatta. Così, per fortuna, in modo naturale, è nata Alice, la mia bambina. 

I primi momenti insieme a lei sono stati però ben diversi dalle mie aspettative: in UK tengono molto al contatto ‘skin-to-skin’ (pelle a pelle) e questa possibilità è stata data a Nicola, mio marito, perché la mia placenta non è stata espulsa naturalmente, eventualità che può capitare, e sono stata trasferita nei reparti ospedalieri dove ironia della sorte mi hanno fatto un’epidurale per l’intervento di estrazione della placenta”.

Il minimo della degenza

“Nel mio caso, visto l’intervento per l’espulsione manuale della placenta, la permanenza in struttura è durata due notti. In caso di parto fisiologico però, la neomamma è invitata a ritornare a casa propria soltanto 6 ore dopo il parto. 

Non è previsto un ricovero di almeno 48 ore come generalmente avviene in Italia.  

In occasione della nascita di Francesco, il mio secondo figlio, nato in una sera di dicembre, sono stata invitata a tornare a casa già il pomeriggio seguente. 

L’assistenza post-parto è affidata alla midwife, e se possibile la stessa che ti ha seguita durante la gravidanza e/o il parto e che continua ad essere un punto di riferimento anche durante i primi 30 giorni di vita del bambino, con delle visite frequenti a domicilio. 

Inoltre esistono anche centri (children centers) ai quali puoi rivolgerti per il sostegno all’allattamento, e per me, che avevo le ragadi e le problematiche tipiche di chi inizia ad allattare, è stato davvero molto utile”.

La salute mentale al centro

“All’inizio quando mi hanno dato tutte le brochure informative – dalla dieta ai rischi del fumo – ce n’era anche una sulla salute mentale e un’altra sulla violenza domestica. 

In UK prestano molta attenzione alla salute mentale della donna in gravidanza e poi della neomamma.

Anche dopo il parto, le visite delle midwives hanno anche la funzione di supporto morale per prevenire e tenere sotto controllo eventuali depressioni durante e post-parto, e anche di intervenire in caso di episodi di violenza domestica. 

Se lo ritengono necessario, ti mettono in contatto con un servizio gratuito di psicologia che organizza l’incontro con un professionista. 

Nel mio caso, mi sembrava di averne bisogno e ne avevo parlato con la midwife pochi mesi prima del parto. Abbiamo deciso insieme di aspettare le vacanze natalizie: al mio rientro le cose andavano meglio e mi sono resa conto che si era trattato solo di un periodo difficile causato dalla stanchezza dovuta al  mio lavoro. Ho quindi scelto di non usufruire del servizio, ma trovo che sapere di avere questa possibilità sia davvero utile e vantaggioso”.

Shared parental leave, un piccolo passo verso le pari opportunità

In UK, è necessario richiedere il congedo di maternità – e comunicarlo al datore di lavoro – almeno 15 settimane prima del parto. 

La durata massima è di 52 settimane, circa un anno, ma in generale le prime 6 settimane sono da considerarsi obbligatorie. L’indennità del congedo varia molto e dipende dal datore di lavoro. Solitamente le prime settimane è garantito il l’80-100% del salario.

“Nel mio caso”, racconta Elisabetta, “l’università mi ha concesso quattro mesi e mezzo di congedo full paid, a cui volendo poteva seguire una proroga con un rimborso in decrescita. 

Molte strutture pubbliche e uffici possiedono una sala dedicata all’allattamento per le mamme lavoratrici, perché c’è molta attenzione a questo aspetto. 

Un aspetto che trovo fondamentale?

Lo shared parental leave: è possibile cedere in toto o in parte il congedo al partner, quindi anche il papà può utilizzarlo in egual misura”.

Una misura che favorisce il rientro della mamma nell’attività lavorativa e permette, volendo, la gestione del bambino nel suo anno di vita in maniera esattamente uguale tra i due genitori.

Una proposta più volte portata avanti nel nostro paese – in cui il congedo di maternità è cedibile al padre solo in caso di decesso o situazioni gravi – ma che non è ancora stata presa seriamente in considerazione e che potrebbe rappresentare un passo importante nell’ambito delle pari opportunità in ambito lavorativo. 

 

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