“L’Italia delle mobilità” secondo Delfina Licata, curatrice del Rapporto Italiani nel Mondo (RIM)

La città di Taranto, durante la Pasqua e i riti della Settimana Santa, raddoppia i suoi abitanti, richiamando a sé tutti i tarantini emigrati”. Attraverso questa forte immagine della tradizione popolare, Delfina Licata, sociologa delle migrazioni, offre una sintesi genuina di quella che, per molte persone in una traiettoria di mobilità, è l’esperienza di emigrazione. Uno spaccato che tiene insieme radici, folclore, comunità, il tema della separazione e quello del rientro. La Festa del Perdono della Settimana Santa è stata l’oggetto di studio della sua tesi di laurea, segnando in qualche modo quello che tuttora è al centro dei suoi interessi di ricerca: l’emigrazione. 

Delfina Licata è una voce molto più che autorevole nel campo della migrazione per la sua storia accademica, la sua esperienza di ricerca e il suo ruolo all’interno della Fondazione Migrantes. Il suo lavoro pluriennale, metodico e sensibile ha contribuito all’apertura di un discorso sull’emigrazione, attraverso il Rapporto Italiani nel Mondo (RIM) di cui è curatrice da quasi vent’anni, in un paese come l’Italia in cui occhi e dito sono sempre puntati con disprezzo e preoccupazione sui flussi migratori in entrata.

Dialogare con lei su questi temi trasmette una sensazione particolare: quella di poter, fisicamente, allargare il campo visivo, espandere la propria cassa toracica per abbracciare una complessità difficilmente spiegabile a parole. Lei ci riesce, per la sua conoscenza del fenomeno e perché lei stessa incarna e riflette quella complessità attraverso la sua esperienza di intersezionalità: la voce di Delfina è una voce migrante, di professionista, di donna che lavora in un ambito prettamente maschile, di genitore. 

Migrazioni circolari

Ma come si può estendere lo sguardo per includere tutte le ramificazioni dell’esperienza migratoria? Secondo Licata ci sono degli aspetti sia teorici, che riguardano come concepiamo la migrazione, che di metodo con cui approcciare il suo studio. 

Per quanto riguarda la “teoria”, c’è un senso di continuità e circolarità nel modo in cui Delfina parla di processi migratori. “Personalmente trovo paradossale e anacronistico parlare di emigrazione ed immigrazione come se fossero due fenomeni separati. Questa però è ancora la narrazione dominante, racconta.Io parlo di ‘Italia delle mobilità’, al plurale: c’è chi è nato e cresciuto in Italia ma ha una nazionalità altra, chi è italiano per discendenza, perché figlio o figlia di qualcuno con cittadinanza italiana, ma è diventato adulto all’estero e in Italia non c’è mai stato, chi parte e chi ritorna, chi riparte e poi resta. Tutte queste esperienze fanno parte della mobilità italiana, che è a sua volta parte della mobilità umana. Nell’osservarla, è fondamentale adottare la lente della bidirezionalità, o meglio della circolarità: non c’è contrapposizione tra immigrazione ed emigrazione”. 

E poi, c’è il metodo di studio del fenomeno: “La migrazione è un fenomeno complesso che deve essere affrontato a 360 gradi, attraverso sguardi multidisciplinari e reti transnazionali di collaborazione. Il mantra è ‘conoscere per operare’, e in questo non si può essere soli e solitari. Creare équipe di lavoro multidisciplinari non è solo un mio bisogno professionale ma una necessità metodologica, coerente con la complessità dell’oggetto studiato”.  

Il “lutto migratorio”

Licata ha iniziato a occuparsi di sociologia delle migrazioni a partire dalla sua esperienza personale di “lutto migratorio”, che ha vissuto quando per la prima volta si è spostata, come migrante interna, da Taranto a Roma per la sua carriera universitaria. 

Il lutto migratorio è un’esperienza in cui molte persone in traiettorie di mobilità potrebbero riconoscersi, conseguente al processo di separazione dal contesto di partenza. La migrazione, infatti, per qualunque ragione avvenga, implica una serie di “perdite” di natura differente, strettamente connesse con essa: perdite interpersonali, materiali e astratte, come per esempio quella del proprio status e del proprio ruolo sociale, di parti della propria identità, di possibilità di espressione linguistica, di immaginari e sogni legati al futuro in un determinato luogo del mondo. 

Non si tratta solo di un modo di dire: il processo e il vissuto del lutto migratorio assomigliano davvero a quelli legati alla perdita di una persona cara. 

Migrazioni interne, flussi inosservati

Alcune perdite, però, non sono percepite come tali a livello sociale, così come ad alcune esperienze migratorie viene riconosciuta un’importanza minore. Il primo caso è quello del veder scomparire dalla propria vita cose astratte legate al proprio paese di origine, che dopo un trasferimento diventano difficilmente accessibili; il secondo riguarda, per esempio, i flussi migratori interni.   

Di migrazione italiana interna si parla poco, sebbene comprenda movimenti che, per l’impatto psicologico che possono avere, possono essere considerati in molti casi assimilabili a spostamenti verso l’estero di una maggiore portata chilometrica. 

I miei nonni sono siciliani, di Agrigento. Si sono spostati a Taranto per il lavoro di mio nonno. Mia nonna non aveva capito che cosa significasse l’emigrazione: l’ha vissuta e l’ha subìta. La sua storia mi dà la possibilità di raccontare la storia di un’Italia che non c’è più, o che forse c’è ancora ma in forme differenti e poco visibili, un’Italia fatta di un movimento interno e di risalita, da Sud a Nord, e di donne che seguono il marito”, spiega Licata. 

Quando parliamo di emigrazione ci riferiamo quasi esclusivamente all’estero, dimenticando i numeri degli spostamenti interni che la maggior parte delle volte rappresentano l’anticamera del trasferimento oltre i confini nazionali, in quello che per molti, anche se non per tutti, è un processo migratorio a tappe. A prescindere dalle distanze, ciò che accomuna queste partenze è il digerire la distanza stessa, che a sua volta rappresenta parte del processo di ‘lutto migratorio’, che a ogni spostamento viene affrontato, digerito, mal digerito, riaffrontato. E con il quale bisogna sempre fare in qualche modo i conti”.   

Il silenzioso flusso interno è ben fotografato nell’edizione 2024 del Rapporto Italiani nel Mondo (RIM), presentato a Roma il 5 novembre 2024. A parlare, sono i numeri: su circa 2 milioni di trasferimenti annuali complessivi, circa tre quarti riguardano movimenti tra Comuni italiani, in una dinamica di attrazione-repulsione verso i piccoli centri

Il cambio di rotta nella mobilità femminile più recente 

ll fenomeno della mobilità femminile si è trasformato nel tempo. Dalla sua posizione di osservatrice privilegiata dei flussi dall’Italia verso l’estero, Licata registra questi cambiamenti a più livelli. 

Oggi siamo donne in mobilità con titoli di studio elevati, cerchiamo risposte ai nostri desideri esistenziali, in quanto esseri umani e professioniste”

Se oggi è possibile cambiare, a livello socio-culturale, la narrazione della mobilità femminile, è perché la narrazione si è trasformata sul piano interno, intraindividuale, nel modo in cui le donne si auto-percepiscono: “Quello che probabilmente è cambiato nella mobilità femminile è la consapevolezza delle proprie capacità, delle proprie possibilità. Il fatto di potersi pensare lontane dal partner e non più come elemento accompagnante, ma sentire di poter essere l’agente propulsivo del movimento di espatrio. Poter riuscire, anche e soprattutto da sole. Sole non perché abbandonate, sole perché bastevoli a noi stesse”, dichiara Licata, sottolineando il senso di riscatto e di riappropriazione dei propri movimenti. 

A ciò fa eco un cambiamento anche per quanto riguarda i “pull factors” del movimento migratorio, che nella mobilità femminile corrispondono, oltre a esigenze legate all’istruzione e alla carriera, anche a desideri di genitorialità, e di accesso a un welfare familiare assente in Italia. 

Le donne incoraggiano movimenti familiari al di fuori dei confini nazionali per andare in luoghi dove i figli possono crescere facendo esperienza della transnazionalità e del bilinguismo, ed essere protagonisti di un mondo che non è piccolo e chiuso su se stesso ma aperto alla comprensione del cosmopolitismo”.

Parlare di migrazioni da una prospettiva femminile 

Non è semplice essere una donna che si occupa di processi migratori e far sentire la propria voce in ambito professionale. 

Licata racconta: “La voce femminile è una voce che risulta scomoda, perché porta valori ed elementi di sensibilità che a volte sono percepiti come poco coerenti rispetto a una logica lavorativa del ‘fare’ che predilige modalità direttive, impositive e rigorose, che per via dei ruoli di genere sono ricondotte alla figura maschile”. Ma la mobilità umana deve essere affrontata, a livello di ricerca e di politiche, con “entrambe le lenti: quella della sensibilità, che dev’essere una sensibilità orientata, che deriva da una riflessione di pancia e di testa, e quella dell’obiettività. L’unione di questi aspetti porta a un approccio migliorativo che completa e abbraccia l’interezza e la complessità della mobilità”.

Superare gli anacronismi: l’Italia delle mobilità, femminile plurale 

La sensibilità orientata di Licata è anche quella che le permette di assumersi la responsabilità autoriale del RIM, frutto di un lavoro meticoloso e corale.

Se parliamo di 6 milioni 134 mila cittadini e cittadine italiani residenti all’estero, non stiamo parlando solo di demografia, statistica, stock e flussi, ma di persone. Parlare di queste persone, delle loro necessità e dei loro desideri per me è un impegno civile”. 

Se c’è qualcosa che desidero, è che un giorno si riesca a restituire il numero reale degli italiani residenti all’estero e non dover più parlare di un’Italia che non riesce ad avere contezza dei suoi espatriati, mentre conteggia spasmodicamente chi entra nei suoi confini. Mi auguro che sia possibile un salto culturale in cui non c’è una separazione tra ‘Italia all’estero’ e ‘Italia in Italia’, ‘Italia dell’emigrazione’ e ‘Italia dell’immigrazione’, ma in cui si parla di un’unica ‘Italia delle mobilità’. Sarebbe il segno di un paese che riesce a vivere pienamente i tempi, come protagonista di questa epoca delle mobilità.”

Questo articolo fa parte di una piccola serie sul benessere psicologico in mobilità internazionale, pensata per chi si trova in una traiettoria d’espatrio ma anche per chi quella traiettoria la osserva, talvolta da lontano.